io, Serenella, il Walkman Geloso e il pezzo mancante (quello di sopra).

Napoli, 1981

Ho incominciato a lavorare abbastanza giovane:
a 15 anni, da liceale, do lezioni private a ragazzine delle medie arruolate da mia mamma che lavora alla scuola Sacro Cuore; 
a 18 faccio il rappresentante di Organi Bontempi all’Upim: un solo mese, giusto per ritirare lo stipendio e andare contestualmente a comprare la chitarra dei miei sogni, una Martin acustica, quella con cui il mio idolo Neil Young suona "Cowgirl in the sand";




indi, una lunga e fulgente carriera di venditore di auto, durata dodici anni.
All’inizio di questa attività e probabilmente perché sono fresco, tosto e ventenne, riesco anche ad avere la forza di arrotondare nel week end, sabato e domenica sera, facendo pubbliche relazioni ma più che altro il cameriere aggiunto, in un locale del Vomero che si chiama Charly e fa panini e hamburger (un lustro ancora ci separa dall’apertura del primo Mcdonald’s in Italia, a Bolzano...).




Le serate si concludono a notte fondissima con chiacchiere fra gli ultimi avventori, il gestore Fabrizio, il primo (e a mio ricordo unico) cameriere, Sergio, ed io, pagato poco in soldi e molto in panini.
Alla fine di giugno, durante uno di questi consessi notturni dal tasso superalcolico sufficientemente elevato, nasce l’idea dell’impresa eroica in tre fasi:

- traversata motociclistica notturna di gruppo Napoli-Gaeta da effettuarsi il sabato sera successivo, dopo la chiusura del locale: sono ottantanove chilometri ma ne parliamo come fosse la gita a NordKapp
- falò sulla spiaggia e ricovero di fortuna per la notte nella casa estiva di Sergio
- colazione a Gaeta, giornata al mare, pranzo e ritorno di  domenica pomeriggio a Napoli, giusto in tempo per l’apertura serale del locale


Il 27 giugno 1981 è il grande giorno.
Mi presento all’appuntamento in sella alla mia Vespa 125 PX grigia metallizzata carica di bagagli sufficienti per un mese, nonostante la durata prevista per il nostro viaggio fosse meno di venti ore fra andata e ritorno. 
C’è il cambio di abito da venditore di auto a vice cameriere di Charly, non si è mai visto un vice cameriere in blazer e cravatta di lanetta. 
C’è il cambio di abito da vice cameriere a centauro per viaggio avventuroso, non si è mai visto un biker viaggiatore vestito da cameriere.
C’è il cambio d’abito per il mare domenicale, compreso asciugamano e crema solare, non si è mai visto un bagnante sulla spiaggia vestito da motociclista. 
E c’è, inoltre, sul portapacchi posteriore, il fodero rigido nel quale è riposta la famosa chitarra Martin, frutto di tanti organetti Bontempi venduti tempo addietro; non è sola, nel fodero c’è spazio per una serie di armoniche a bocca  e con il portarmonica d’ordinanza, un accrocco/impalcatura usato dai cantautori country e rock americani e dal nostrano Edoardo Bennato.
Completano il pacchetto musica, gli immancabili bonghetti.
L’oggetto di cui sono maggiormente orgoglioso, ultimo ritrovato della tecnica moderna, è un piccolo registratore a cassette portatile, marca Geloso, ascoltabile con cuffiette, bisnonno del Walkman. 




E’ una goduria e una sensazione per me nuovissima poter viaggiare in Vespa e ascoltare la musica allo stesso tempo.
Parcheggio con non poche difficoltà l’ingombrante motoveicolo nella strada senza uscita che termina proprio con l’insegna di Charly, trasferisco le masserizie all’interno del locale e faccio il primo cambio di vestiti.
Sono le nove di sera di sabato, il locale è affollato e mi metto subito al lavoro.
Sono già sedute, ad un tavolo, due ragazze. Carine.
Fabrizio, il boss, mi dà istruzioni:

- Quella castana si chiama Marcella e sta con Sergio, quindi comportati bene...
- Sono un bravo ragazzetto.
- Quella con i capelli biondi lunghi è di Cagliari, è molto amica di Marcella. Studiano insieme.
- E con chi sta? 
- Si narra con uno delle Brigate Rosse.
- Andiamo bene...
- Ma forse è stato arrestato.
- Ho sempre avuto fiducia nelle Forze dell’Ordine.
- E c’è una notizia.
- Quale?
- Viene con noi stanotte a Gaeta. Ma ti stai distraendo. Porta questi panini al tavolo 4.

Le convergenze astrali sono favorevoli. 
Mi faccio due conti.
Il capo cavalcherà la sua irraggiungibile Honda 400 (che la memoria mi restituisce, dai fumi della lontananza temporale, di un colore azzurro metallizzato ma stai poi a vedere se è davvero così) e verrà con la first Lady Isabella, di cui spesso si parla  ma io ancora non l’ho mai incontrata. Mi dicono tutti che dovrei conoscerla, perché abbiamo frequentato la stessa scuola alle medie, lei un anno indietro di me. Vedremo, la incontrerò fra poco, a fine serata.
Sergio e Marcella troveranno posto sulla di lui Vespa 150 verde scura.
So che a fine serata, quando partiremo, ci raggiungeranno Arturo e Giovanna, felici possessori di altra Vespa corredata di zaini e sacchi a pelo.
Perciò la brigatista bionda cagliaritana, non fosse altro che per mancanza di alternative, sarà obbligata a accomodarsi sulla sella posteriore del mio gioiello Piaggio. Bene bene.

La serata è lunga ma è giusto così.
Il sabato è il giorno migliore per questo genere di locali e noi, giovani, uniti e molto motivati, siamo lieti che  nel “nostro” pub ci sia gente fino a tardi. Ma proprio tardi. 
E' passata già da un bel po’ la mezzanotte, la clientela incomincia a scemare e io, dopo un ultima cospicua botta al lavaggio piatti, mi porto avanti con il cambio divisa, mi trasformo da vice-cameriere in moto esploratore notturno e mi siedo al tavolo delle due ragazze.
Presentazioni, chiacchiere e tutte quelle cose che si dicono e si fanno a vent’anni con ragazze della tua età. Scorre tutto naturale,  semplice, leggero: risate, battute e la mia consapevolezza di dover vivere con queste persone, alcune sconosciute ma subito empatiche, un’esperienza non certo eroica ma che rappresenta una piccola sfida.
Sempre con quel briciolo di timore reverenziale nei confronti della bionda al tavolino che, io penso, normalmente a un tavolino come questo organizzerà minimo minimo spese proletarie e autofinanziamenti con rapine del caveau del Banco di Napoli. 
I nostri quesiti sono meno sovversivi: farà freddo? Ce la faranno le nostre Vespe? Pioverà? Qualcuno ha portato una chiave della candela?
Apprendo che la mia futura compagna di viaggio si chiama Serenella.             
Per uno strano ragionamento mentale, agevolato dal vino bianco fresco che stiamo bevendo (tutti ma Serenella no, è astemia) decido che “Serenella” è un diminutivo datole dagli amici. Si chiama Serena ma la chiamano Serenella, decido io, così, per postulato.
Non so perché ma non mi piacciono molto i diminutivi. Tendo a chiamare tutti con il nome originale. E’ vero, il diminutivo può sembrare più intimo, può far trasparire una familiarità più o meno reale, ma quando alla fine tutti ti chiamano con il diminutivo, questi supposti valori aggiunti, complicità, amicizia, intimità, si svalutano del tutto. 
E insomma io dal primo momento Serenella la chiamo Serena e sono in seguito rimasto convinto che si chiamasse Serena per molti anni.

Mentre anche noi, a fine serata, mangiamo un hamburger (tutti ma Serena no, è vegetariana) la bionda mi racconta che, riguardo al cibo, segue gli insegnamenti di un santone girovago francese. Immagazzino dati: brigatista, santone.
Non so se devo preoccuparmi.
Ella studia cinese e tibetano. 
E’ di Cagliari ma resterà a Napoli per il periodo di durata dell’Università. 
Vive in affitto a via San Domenico, al Vomero, quella che inizia all’Istituto dei Ciechi, passa davanti al Teatro Cilea e scende giù. 

Marcella abita a via Petrarca, zona bene, zona alta, zona panoramica della città e vive con la famiglia.
Ma basta così: sono le due e mezza di notte ed è ora di partire. 
Fabrizio va a prendere Isabella. 
Noi chiudiamo il locale e ci sistemiamo più o meno comodamente, sui rispettivi mezzi di locomozione. 
Mostro a Serena il registratorino Geloso dicendole che in viaggio godremo dell’inedito cocktail musica-vento-velocità: ho ben due cuffiette. Denoto favorevoli affinità elettive sui gusti musicali: West Coast americana e cantautori italiani. In viaggio ce li spareremo tutti. 
Un rombo di motore nipponico annuncia al volgo il ritorno del  capo: il nostro condottiero impenna nella notte il suo cavallo motore.
Abbarbicata dietro di lui la famosa Isabella. La intravedo per pochi secondi e non capisco se me la ricordo oppure no, come ex compagna di scuola.
Fabrizio ci dà appuntamento al benzinaio Mobil vicino all’uscita della tangenziale di Fuorigrotta , uno dei pochi self service nella Napoli degli anni 80, così chi ne avesse bisogno può fare benzina. “Ci vediamo lì” e parte a velocità inenarrabile su via Luca Giordano. 
Ora come è, come non è, fatto sta che quando arriviamo al distributore, il capo, con la sua Honda e con la sua Isabella, non c’è, cosa alquanto strana, vista la differenza di potenza erogata dai motori delle nostre Vespe rispetto al suo gioiello giapponese. 
Sono le tre di una notte di inizio estate e mancano nove anni all’invenzione del cellulare. Decidiamo di aspettare un po’, qualcuno inganna l’attesa facendo rifornimento, che è facile a dirsi ma le Vespe vanno a miscela: il distributore del Self Service eroga solo benzina e dobbiamo andarci giù di brutto di misurini per aggiungere l’olio nei nostri serbatoi.
Mentre siamo così, con le tre Vespe con le selle alzate, i tappi aperti e stiamo dando fondo alle equivalenze studiate alle medie per capire quanto olio ci va in mille lire di benzina per fare la miscela al 2 per cento, ecco giungere Fabrizio.
E’ solo.

- Isabella non viene più. Abbiamo avuto una discussione e l’ho riportata a casa.

Incomincia a scricchiolare qualche certezza sulle mie convergenze astrali favorevoli.
Fra l’altro sono anche l’ultimo che si è attardato a fare benzina quindi, mentre gli altri sono già tutti pronti per andare, io sto ancora armeggiando con tappo, serbatoio, misurini. In realtà sto anche saltando a piedi uniti sul tubo della pompa erogatrice, sport molto diffuso fra noi ragazzi squattrinati per far uscire fino all’ultima goccia di carburante.
Mentre saltello felice e ignaro, Fabrizio il boss, il nostro capo, faro e condottiero, in sella al suo fulgente  cavallo meccanico, propone a Serena: 

- Se vuoi puoi venire con me, si è liberato il posto... Così alleggeriamo Riccardo che ha la Vespa più lenta e più carica.

La sarda bionda salta senza pensarci un attimo sulla maximoto. Io penso che sarebbe carino che in quel momento sbuchino fuori all’improvviso, da dietro le colonnine dei distributori di benzina, il brigatista che gambizzi cortesemente Fabrizio e il santone che lo fulmini con un anatema dei nativi americani a effetto immediato.
Ma ciò non accade.
Mi si prospetta un bel viaggetto da “unico dispari e spaiato” ma che fai, ti metti in competizione con colui che ti fa guadagnare il pane quotidiano? Per giunta al sesamo?
La piccola carovana si mette in moto sulla via Domiziana. Indosso un cappellino di lana multicolore fatto con le sue preziose mani dalla mia ex fidanzata Laura e, sopra, le cuffiette (che io le chiamo cuffiette ma sono ancora quelle con l’impalcatura tipo concorrente dei quiz televisivi). Il casco non è previsto né per legge né per scelta personale.

Guido sulla statale in posizione centrale nel gruppo, strategica, perché, in questo momento di sconforto psicologico, sono sicuro che se rimanessi ultimo, gli altri mi dimenticherebbero con indifferenza e disinteresse nella notte.
Vedo tutto buio davanti a me. 
Anche perché è tutto buio davanti a me e il faro della Vespa è quello che è.
Mi consolo ascoltando 4 Way Street, leggendario disco doppio di Crosby, Stills, Nash & Young, pietra miliare delle mie conoscenze musicali, germoglio di coltura e cultura per le preferenze e le produzioni future.
Dopo pochissimi chilometri di viaggio, la svolta: abbiamo da poco superato Pozzuoli e il primo cameriere Sergio viene colto da sommovimenti gastrici che obbligano lui e il resto della comitiva, solidale, ad una sosta sul ciglio della strada, per procedere al suo infrattamento e conseguente svolgimento delle pratiche fisico-corporali. 
Fabrizio, in preda ad un eccesso di goliardia, decide di avvicinarsi con la moto fra le frasche nella zona scelta dal misero Sergio per il suo moto liberatorio interiore e trasformare quel momento di solitudine forzata in una performance pubblica grazie ai potenti abbaglianti della sua Honda.
E’ a quel punto che Serena dice: “No, ma che scherzi sono? Io non ci vengo” e scende. Fabrizio la guarda interrogativo e si aggiusta sul naso i suoi spessissimi occhiali da miope, domandandosi come sia possibile che di un’idea così divertente non possano essere tutti  universalmente più che entusiasti.
Grazie, santone, hai guidato telepaticamente Serena dal tuo universo  parallelo.
I pianeti  stanno ricominciando ad allinearsi  nel verso giusto. 

- Vado in Vespa con... coso...
- Riccardo
- Con Riccardo. Ha pure la musica.

E rieccoci di nuovo in marcia. 
Benedetto registratorino a cuffiette Geloso.
La cassetta è andata avanti e ora io e la mia amica Serena cantiamo nella notte, con lodevole cognizione mnemonica del testo, “A horse with no name” degli America, sfrecciando sulla nostra  Vespa, “sfiorando i novanta” direbbe Cesare Cremonini ma in questo momento ha un anno e tre mesi e non sa ancora parlare.

La Vespa, insieme con il ballo lento delle feste in casa, è l’unico altro modo per poter entrare in contatto fisico con una ragazza. 
Nel ballo lento si possono appoggiare le braccia sui fianchi della ragazza, mentre lei te le mette sulle tue spalle o, nella migliore delle ipotesi, al collo.
La Vespa, a dirla tutta, è anche meglio del ballo lento perché l’abbracciamento è unilaterale, solo chi siede dietro deve tenersi e l’autista può pilotare un po’ gli eventi, con piccole frenate o accelerate impreviste.
Mi dico che, a abbracciamenti, stiamo andando piuttosto bene, Serena si mantiene ben salda.
Mi dico pure, per non farmi troppe illusioni, che non si ricorda neanche il mio nome. E che quindi si starà abbracciando per il freddo, per il canto corale, per l’atmosfera della gita.
Giungiamo a casa di Sergio, a Gaeta, che si vedono nel cielo le primissime lontane frecciate rosse, avanguardie del nuovo sorgere del sole.
Io sono sveglissimo e ti credo, dopo quasi tre ore di vento ghiacciato sulla faccia... e do fondo al mio repertorio chitarristico “da vacanza” mentre ad uno ad uno i compagni di viaggio si accasciano nei loro sacchi a pelo sui materassi spogli dei letti da casa di villeggiatura.
Io e Serena rimaniamo a chiacchierare fino a giorno fatto.
Poi i cornetti, poi il mare, poi i toast mentre, lungi dallo spendere soldi che non abbiamo per sdraio e ombrelloni, ci abbattiamo sulla palizzata del Lido.
Siamo in piena atmosfera “Sapore di Mare” se non fosse che il film uscirà fra due anni.
Io e Serena viviamo le due/tre settimane seguenti da bravi giovani fidanzatini.
Rendiamo partecipi i nostri amici della nostra storia: andiamo a trovare Marcella a casa sua, dove troviamo la mamma in piena riunione-presentazione della Stanhome; poi presento Serena ai miei amici, almeno i pochi che, siamo ormai a luglio, non sono ancora partiti per le vacanze.

Io, vabbè.
Invento poesie, compongo canzoni, scrivo lettere, tutte ad argomento Serena.
Felicemente infatuato, sufficientemente rincoglionito.
Andiamo in giro in Vespa, d’altronde è estate piena, ma spesso uso anche la macchina, una Citroen 2 Cavalli arancione, perché così, subdolamente, ogni volta che riaccompagno Serena a casa, a via San Domenico, posso tentare l’approccio fisico un po’ più spinto, puntualmente rintuzzato con argomentazioni che tirano in ballo serietà, attesa,  certezza, tutti concetti astratti poco convincenti per un ventenne ingrifato come me.




Lo scudo non superabile con il quale Serena si difende strenuamente è l’incombente scadenza temporale per la quale lei, a fine luglio, ritornerà in Sardegna a casa sua: ella non ritiene, quindi, sia il caso di cedere alle mie profferte se non, forse, dopo il suo ritorno, dopo l’estate, tempo che a me sembra di una lunghezza insopportabile.
E se, in questa prolungata separazione estiva, Serena dovesse dimenticarsi di me?
Ma lei mi rassicura.
Se dovessero cambiare le cose?
Ma lei mi rassicura.
E se dovesse succedere che...?
Ma lei mi rassicura.

Purtroppo avevo ragione io.
Vedi che certe cose uno se le sente. Benedetta ragazza.
E infatti, in quell’estate dell’ 81, io mi fidanzo con Giuliana, che nei seguenti sette anni sarebbe stato il mio riferimento nel percorso da fidanzata ad ex moglie.
Di Serena, avvistata prima in Sardegna, poi in Cina, poi in Francia, si perdono le tracce in maniera definitiva per lunghi anni.
Quattordici, per la precisione. E non sono pochi

Nel 1995 tante cose sono cambiate.
Non faccio più il venditore di automobili.
Non sono più sposato con Giuliana.
Ho scritto, nel frattempo, un libro umoristico di successo, venduto in un milione e mezzo di copie e vado ogni tanto in tv a leggerne degli stralci al Maurizio Costanzo Show, per la qual cosa sono invitato in rassegne comiche in giro per l’Italia.

Il mio telefono, nel 1995, squilla nello spogliatoio del calcetto mentre faccio la doccia dopo la partita.

- Ciao, sono Serenella, di Cagliari, ti ricordi?
- Come no, ciao Serena, come stai?
- Non Serena, Serenella.

Con la stessa naturalezza con la quale, secoli prima, avevo deciso che Serenella fosse un diminutivo, recepisco in maniera immediata e definitiva che Serenella non è mai stato un diminutivo. E’ a suo modo una rivelazione.

- Serenella, come no...
- Ma è vero che vieni a Cagliari?
- Sì, il prossimo week end. Mi hanno invitato in un posto che ora non mi ricordo bene...

Nel frattempo, anche la vita, umana e professionale, di Serenella ha fatto il suo percorso: organizza spettacoli in Sardegna, in particolare musicali, e ha saputo del mio arrivo, seppure in una rassegna organizzata da altre persone.
Abita ancora in affitto, all’indirizzo di Quartu che mi aveva detto la prima volta che ci incontrammo, via Bonaria, dove le ho mandato un congruo numero di cartoline amorose e dudu e dadada.
Ma fra un po’ traslocherà:

- Si sta liberando la casa grande, di proprietà, dove si è piazzato a scrocco un cancelliere che ci ha pure insediato due radio libere e prende i contributi da Radio Radicale, lo stronzo. E a me non ha mai pagato l’affitto ma ora è finita, lo sfratto. Comunque, Riccardo, ci raccontiamo tutto quando ci vediamo, so tutto, dove sarai in albergo, data e luogo del tuo spettacolo di sabato sera. Vengo a premderti lì, alla fine della tua performance e poi andiamo a cena.
- Perfetto.

E così accade. 
Dopo qualche giorno sono a Cagliari.
Già quando sono sul palco, riconosco Serenella fra il pubblico, ha gli stessi capelli biondi e lunghi dei miei ricordi.
Un saluto, un abbraccio, un sorriso.
E poi una lunga serata di racconti e chiacchiere. 
Come la notte di Gaeta.
Alla fine Serenella mi accompagna in albergo. Neanche provo a dirle di venire a bere qualcosa: non solo sono ritornati vividamente alla memoria i duelli all’arma bianca nella 2 Cavalli a via San Domenico, ma in più lei mi ha raccontato del suo fidanzato, un artista, si vogliono bene, si amano.
Anzi, se voglio andare all’indomani con loro, è prevista un’uscita in barca con il suocero.
E chi se la perde.
Il giorno seguente, il vento è troppo forte: andiamo fino all’ormeggio ma rimaniamo sulla barca senza uscire, causa maltempo, e mangiamo in coperta panini, beviamo e incominciamo inevitabilmente con i nostri racconti.
Che poi, al nocciolo, ammontano in totale a due settimane vissute, per quanto intensamente, ben più di un decennio prima.
E così fidanzato e suocero devono subire le descrizioni delle nostre antiche gesta.
Noto un comportamento un po’ strano di Serenella.

- E ti ricordi, Riccardo, quando ci siamo conosciuti in quel locale?
- Charly, ci facevo il cameriere, e poi quella sera partimmo per Gaeta.
- Con Marcella! La mia amica! Come si chiamava il fidanzato?
- Sergio, si chiamava Sergio...
- Sì, litigarono tutto il tempo! E tu con la chitarra...
- E’ la stessa che suonavo ieri sera sul palco...









E poi, la frase criptica:

- Però, sai... a parte Marcella che era proprio mia amica, abbiamo studiato insieme tutti i giorni per mesi interi... quel Sergio... quel Fabrizio con la moto grande... me li ricordo sì e no... Mentre di te mi ricordo proprio bene. Meglio. Ma molto meglio. Che strano.

Che io avrei voluto dire: “Che strano?” ma ti credo che ti ricordi ‘meglio’’! L’amore, il fidanzamento, le canzoni, le poesie...
Come dice il poeta Fred Bongusto: tre settimane da raccontare / agli amici tornando dal mare.
Boh, forse le scoccerà raccontare queste cose davanti al fidanzato. Oppure il suocero. Sarà un sardo all’antica.

Il giorno dopo, Serenella si offre di accompagnarmi all’aeroporto.

- Serenella.
- Dimmi.
- Ma solo per curiosità...
- Dimmi, dimmi...
- Da quanto tempo stai col tuo fidanzato?
- Cinque anni
- E... è geloso?
- Ma no! Perché me lo chiedi?
- Ma allora scusa... ieri tutta quella manfrina, in barca... era per il padre?
- Scusa ma quale “manfrina”?
- Come “Quale manfrina”?  “Sergio non me lo ricordo bene, ma a te Riccardo ti ricordo benissimo, sei proprio ben presente nella mia memoria...”
- Embè? 
- No, dico... sono passati 14 anni... che problema c’è ad accennare che io e te...
- Che tu e io...?
- Va be’, che siamo stati insieme.
- Ma chi?
- Io e te.
- Io e te... insieme?!?
- E dài, Serenella, non fare la scema.

Serenella se la ride. Ma proprio di gusto. Talmente tanto che sulla curva dello svincolo dell’aeroporto abbiamo pericolosamente avvicinato il guardrail lato passeggero.
Ride con le lacrime.

- Riccardo non fare il cretino
- Serenella, insomma, mi dici qual è il problema?
- Ma quando mai siamo stati insieme io  e te! Guarda che ti ricordi male.
- Non ho parole. Non oso immaginare quanti ragazzi ti sarai fatta  a vent’anni da non ricordarti...
- “Fatti”? Ma che termini usi?
- Hai ragione, scusa. E comunque, per amore della verità, io e te non siamo neanche arrivati, come dire a... alla... al... va be’ insomma, non abbiamo fatto l’amore
- Ma figurati! Io e te? Ma è ovvio.
- Ovvio sto cavolo. Ci siamo baciati, baciatissimi.
- Ma che dici. Ti confondi. Pure tu, facevi il fichettino in giro di qua e di là... Chissà chi era. 
- Limonato. Moltissimo.
- Ma chi? Io e te?
- Ma pensa quanto puoi essere stata adusa alla zoccolitudine se non ti ricordi! Quanti ne devi aver avuti se hai perso il conto... Mi meravigli.
- Ti meraviglio? Va bene. Allora voglio meravigliarti ancora di più: dopo quell’estate napoletana, io sono partita col santone francese. Ho fatto otto anni di castità assoluta vivendo in un camper in giro per Italia e Francia. 
- Quindi la ragione della tua amnesia non è la zoccolitudine.
- No.
- Peggio. Che è? Rimozione? Sostanze stupefacenti? Che vi fumavate, che vi mangiavate tu e il santone, funghi allucinogeni?
- No... Ma non ci credo! Dai, stai scherzando. Io e te?

E ride.
Quando si dice lasciare il segno.
Cavolo. Le poesie, le canzoni, le lettere.
Non riesco neanche a rimanerci male, sia perché il tutto è andato ormai da tempo in prescrizione, sia perché Serenella è così sincera nelle sue risate che non mi feriscono.
Però.
Ci salutiamo affettuosamente, Serenella dovrà venire a Roma fra qualche tempo per organizzare cose di spettacolo e ci rivedremo.
Però.
Però.
Una cosa è non rimanerci male, un’altra è il negazionismo storico. Devo portare a Serenella prove del nostro idillio di gioventù.
Non posso lasciare che lei pensi che io, a vent’anni, mi sia immaginato (oppure, peggio, ora mi stia immaginando)  tutto come un cretino.

Subito, a partire dal viaggio di ritorno in aereo, incomincio a elencare mentalmente persone, ricordi, testimoni.
Appena arrivo a casa, chiamo Serenella e mi faccio dare il numero della storica amica Marcella. 
Chiamo Marcella, mi faccio riconoscere. 
Saluti, convenevoli. 
Episodi, ricordi.
Marcella, fra alterne vicende, alterni periodi e alterni vaffanculi, sta ancora con Sergio.

- Senti Marcella, forse questa domanda ti farà ridere, lo so...
- Che domanda?
- Ti ricordi che rapporti c’erano fra me e Serenella?
- Serena. Lei mi diceva che tu la chiamavi Serena e non capiva perché. “Ma se il mio nome è Serenella, perché si ostina a cambiarlo?”
- E’ vero, e mi conforta questa tua memoria nitida riguardo ai particolari.
- All’inizio, subito dopo la gita a Gaeta, mi diceva che le piacevi, mi chiedeva informazioni su di te ma in fondo io non sapevo nulla. Serenella mi chiese di interpellare Sergio per avere notizie. Insomma, le solite cose che si fanno sempre fra ragazzini, fin quando vi metteste insieme. 
- Giusto. Perché noi ci siamo messi insieme, vero?
- Riccardo, ma sei scemo? Che fai lo chiedi tu a me? Ma certo che vi metteste insieme!


Riepiloghiamo:
Io sono stato insieme a Serenella.
Le ho voluto bene, l’ho amata per ben due/tre settimane.
E Serenella non se lo ricorda.
Ma l’amica sì.
Le obbligo a risentirsi fra loro, hai visto mai, confidenze tra donne, confessioni di amiche ragazzine, esca fuori qualcosa...
Nulla. 
Quando Marcella mi riferisce la vanità dei suo sforzi ride ancora più di Serenella.
Stiamo quasi quasi giungendo all’assurdo che sia Marcella ad essere convinta da Serenella che “il fatto non sussiste” e ciò mette a dura prova la mia serenità di fondo rispetto all’accaduto.
Mi metto d’impegno per cercare tracce, prove di un passato amoroso svanito nel nulla per tutti o quasi.

Ogni tanto, quando sento di processi famosi che durano decenni, come quello per Aldo Moro, o il delitto di via Poma a Roma, Avetrana, Cogne, penso a come debba sentirsi un testimone oculare, un imputato, un interrogato che fornisce un alibi, quando gli chiedono: “Dov’era alle 18,15 di quel giovedì di quattordici anni fa?”, che poi la risposta giusta sarebbe “E chi *zzo se lo ricorda, io non so bene neanche cosa ho fatto l’altro ieri sera!”  
Ma da quella risposta può dipendere una assoluzione, un’incarcerazione, un errore giudiziario, la svolta definitiva nel bene e nel male della vita di qualcuno... Quindi bisogna ricordare, essere attenti, scavare nel buio dell’oblio per far riemergere piccole schegge di ricordo da riassemblare.

Ecco, io sono esattamente nelle stesse condizioni.
E anche se da queste ricostruzioni non dipende la vita, la morte o l’ergastolo di qualcuno ma solo la mia reputazione di sciupafemmine ventenne, be’, non per questo l’impegno deve essere minore.
Mi concentro, un decennio e un lustro scarso dopo l’accadimento dei fatti, e provo a ricordare qualcosa di inconfutabile, storicamente riconosciuto e innegabile, accaduto fra me e Serenella.

Il primo bacio. 
Dove fu. 
Come fu.
Iniziano a comparire immagini e ricordi dimenticati.

Il cinema Italnapoli di via Tasso sta praticamente in un condominio. Credo ora ci sia un piccolo teatro. Rigorosamente solo terze visioni. 

- Serena, andiamo a vedere Hair? 
- Ma è vecchio, di due anni fa... l’ho già visto
- Io no, e poi mi piace Milos Forman, "Qualcuno Volò sul nido del cuculo" è uno dei miei film preferiti
- Capirai! No, no, troppi pianti: ho pianto per il Cuculo e anche per Hair..
- Ma scusa, se l’hai già visto, mica piangi di nuovo? 
- Va be’, andiamo, ma lo faccio giusto per te.

Giusto per me.
La mia donna, futura madre dei miei figli, lo fa giusto per me.
Questo è amore, amore probabilmente eterno.
Al Cinema Italnapoli eravamo forse in cinque o sei, non di più, a vedere il film.
Hair è il secondo film musicale che vedo, sette anni dopo Jesus Christ Superstar, e anche questo, fra trama e canzoni, è di mio gusto.
Alla fine del film, come da avvertenze, scatta l’irrefrenabile commozione di Serena.
Sfrutto il momento di sconforto e umana debolezza della donzella, come da apposito capitolo “cinema” del Manuale del Giovine Conquistatore, per mettere in atto la tripletta ‘braccio sulla spalla-carezza-bacio’ nel momento della massima probabilità di successo.
E i due, dei quali due uno sono io, si baciano.

Su una vecchia agenda-taccuino-diario della concessionaria dove ero impiegato, ritrovo testimonianza dell’evento: il biglietto del cinema e i miei commenti. Purtroppo non relativi al personale, poiché i miei taccuini-agende erano pubblici ma almeno parlano dell’avvenimento in sé.


- Pronto Serenella? Ciao, sono Riccardo, il tuo ex fidanzato
- Seh seh, come no...
- Ti ricordi che una volta, a Napoli, andammo al cinema?
- Mmm, fammi pensare... Boh, forse sì...
- Andammo a vedere un film musicale e alla fine tu ti mettesti a piangere
- Come no. Andammo a vedere Woodstock.
- Hair, veramente, capisco che hai il pianto cinematografico facile ma non ci sarebbe motivo di piangere alla fine di Woodstock. Però mi accontento del  tuobarlume di reminiscenza. Comunque, alla fine tu ti metti a piangere, io ti consolo e alla fine ci baciamo. Te lo ricordi?
- No.
- Vaffanculo.
- Ciao.
- Ciao.











- Pronto, Serenella? Sono colui del quale ti innamorasti perdutamente quattordici anni fa
- Tu dici? Ma sai che questa cosa non me la ricordo proprio?
- Ah, no? E ti ricordi quella volta che sei venuta a trovarmi al lavoro?
-
- E che siamo andati a comprare le pastiglie di cioccolata Droste?
- Si quelle me le ricordo ma te le mangiavi solo tu, io ero molto salutista, grazie al santone
- E poi tornammo in concessionaria e il salone era vuoto, eravamo soli e non entrava nessuno, e pomiciammo professionalmente, semi nascosti sui lussuosi sedili in pelle di una Lancia Gamma coupé blu scuro esposta nel salone?
- No
- E quel giorno, in concessionaria, quando sei andata via,  mi hai lasciato un bigliettino dove mi hai scritto “Bacini Sere”. Non Serenella come dicevi tu, non Serena, come dicevo io. Ma Sere. Hai capito? “Bacini, Sere”. E’ una prova schiacciante. 
- “Bacini” non significa fidanzamento
- Ah no?
- No
- Vaffanculo
- Ciao
- Ciao




- Pronto Serenella?
- Ti ricordi quella volta che siamo andati a suonare la chitarra da Giuseppone a mare?
- Si
- Che mi hai fatto quella foto, che io ho detto che sarebbe stata la copertina del mio disco? Avevo la felpa Benetton che ti avevo prestato nel viaggio.
- Si
- Che anche in quella foto c’è tutto il mio solito armamentario: chitarra, armoniche, zainetto, borsa di tolfa...?
- Ogni volta, un trasloco




- Ma quella volta siamo andati in macchina. Ti ricordi che macchina?
- Dunque, fammi ricordare. Una di quelle tutte molle... Una Citroen Dyane. Una Dyane gialla. 
- Quasi. Una 2 Cavalli arancione ma voglio premiare la buona volontà.
- Arancione!! Hai ragione, è il tuo colore preferito: macchina arancione, zainetto arancione, magliette arancioni. Per non parlare delle orrende salopettes...




- Già. Perché le maglie, lo zainetto, le salopettes sono ben presenti nella tua capoccetta ma i nostri baci appassionati sotto la luna di Marechiaro...
- No.
- Però, però, però. Il fatto che tu ricordi tutti questi particolari di abbigliamento e accessori mi rassicura. Perché mi sono ricordato una cosa che aprirà nuovi orizzonti nella tua testolina perimetrata dalle piante allucinogene del santone. Allora, quella sera, dopo le romantiche ballate sul mare e la pizza in loco, ti riportai a casa in auto. Via San Domenico.
- La discesa?
- La discesa, sì. Siamo rimasti a chiacchierare al buio per tanto tempo, abbiamo anche aperto il tetto della macchina e parlato di stelle, dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo.
- Che palle. Ma è plausibile.
- E ora senti cosa mi sono ricordato. 
- Sono tutta orecchie.
- Baci. Carezze. Poi è venuto fuori il ventenne intraprendente e le carezze sono diventate più ardite. Camicetta sbottonata. Hai un reggiseno chiaro con dei piccoli disegnini. Siamo agli albori dell’era Naj Oleari e le fantasie con piccoli  oggetti ripetuti graficamente è di moda. I piccoli disegni sono tante mascherine di carnevale, come quella di Zorro, ma di tutti i colori. Mi ricordo benissimo la mia battuta, mentre esploravo distese epidermiche a me usualmente interdette: “Sarebbe il caso di dire: giù la maschera!”, e a questo punto tu, dimostrando l’inesistenza del tuo senso dell’umorismo, ti rimetti rigidamente a sedere sul divanetto della macchina con la faccia imbronciata, ti riabbottoni velocemente la camicetta, commentando e criticando la mia abitudine di non essere mai serio, mai,  in nessuna occasione, mentre ogni tanto sarebbe il caso di mantenere un comportamento consono al momento, e insomma, cazziandomi cazziandomi, apri lo sportello della macchina, lo richiudi, ti riaffacci dal tettino ancora aperto, mi saluti freddamente e te ne vai. Tutto questo te lo devi ricordare per forza.
- No.
- Ma veramente? Nulla di nulla?
- No.
- Ma tu... da ragazzina... che tipo di  biancheria intima...?
- Sono cavoli miei.
- Ma per un breve periodo sono stati pure miei.
- Non credo.
- Ma un reggiseno con le mascherine di Zorro, per esempio...
- No.
- Vaffanculo tu e il santone.
- Ciao.
- Ciao.

Ora, io sono il primo a comprendere che una persona non possa ricordarsi le fantasie di tutti i capi di intimo che abbia comprato e indossato nella vita.
Pero. Però.
Una cosa così precisa. Le mascherine. E su...!
Facciamo un esempio: anche io non ho memoria di tutti i miei calzini e mutande però, probabilmente, se avessi avuto un boxer particolare, con un colore o un disegno molto preciso, rosa con i trichechi, giallo con i dirigibili, viola con i palloncini, e una persona fosse venuta tempo dopo a raccontarmi un episodio in cui l’ipotetico boxer fosse stato protagonista, e avesse provato a ricostruire passo dopo passo un leggiadro momento di giovanile intimità, posso ritenere che io, signori della corte, io, aiutato nel percorso della mia memoria, me lo sarei, con ogni probabilità, ricordato.



Trascorrono altri cinque anni. (Leggasi: altri cinque).
Mi arriva una telefonata a casa.

- Ciao, sono Serenella.
- Ehi, da quanto tempo.
- Ti chiamo dalla casa nuova, quella grande...
- Ah, quella grande occupata abusivamente dal cancelliere...
- Quella. Finalmente sono riuscita a cacciarlo via. Sono entrata qui dopo quasi vent’anni. C’era un’intera ala della casa dove il cancelliere aveva trasferito tutte le mie cose e chiuso le stanze, blindate. Ci ho trovato di tutto, compresi gli scatoloni del trasloco di tutte le mie cose provenienti da Napoli. Ho trovato una scatolina di metallo. Con la scritta Lovable. Dentro c’è un bel completino intimo. Colori chiari, con alcuni disegnini. 
- Disegnini, dici?
- Disegnini. Mascherine. Delle cazzo di mascherine di carnevale.
- Ah, mascherine... (Campione del Mondo! Campione del Mondo! Campione del Mondo!)
- Li ho tirati fuori dalla scatola. Reggiseno e mutandine. Mutandine alle quali tu non sei mai arrivato, inutile ricordartelo e sottolineartelo. 
- Ah, lo so benissimo. Io ho sempre parlato di amore puro, cosa sono mai queste volgarità. Però.
- Però. Vederli è stato un flash. Hai ragione tu. Hai sempre avuto ragione tu. Quindi ti ho chiamato.
- ...
- ...
- Perché?
- Perché voglio farmi raccontare da te tutti gli altri miei ricordi che non mi ricordo, perché ora so che sono tutti veri.
- Il freddo sulla Vespa e tu che ti stringevi.
-
- Cowgirl in the Sand di Neil Young cantata a squarciagola
-
- La casa ghiacciata di Gaeta e il sacco a pelo condiviso
-
- I cornetti di piombo al risveglio
-
- Il viaggio di ritorno che io ho interrotto a metà per raggiungere a Roccamonfina la mia famiglia e la tua delusione nel dover continuare il viaggio sulla Honda di Fabrizio e l'effluvio del suo dopobarba resistente anche al vento motocicilistico
-
- Il pensiero che non mi avresti più rivisto, e poi la gioia del ritrovarci, giorni dopo, in una bella estate napoletana. E fare tante cose insieme 
-
- Tutte quelle cose che ti ho raccontato e che tu dicevi “No”
- Sì. 
- Sì. Brava.
- Ah. Anche io mi sono ricordata una cosa: un bacio molto romantico che ci siamo dati su una terrazza... che poteva forse stare dalle parti di... come si chiama quel posto dove... che si vede tutta Napoli? 
- Non lo so ma non ti preoccupare: io mi fido. Io.
- La prossima volta che ci vediamo te li regalo. Sono tuoi. Per tutti questi anni li hai tenuti con te, fra i tuoi ricordi.
- Sì, la prossima volta. 
- Ciao.
- Ciao.




Hello cowgirl in the sand
Is this place at your command
Can I stay here for a while
Can I see your sweet, sweet smile
Old enough now, to change your name
When so many love you, is it the same
It’s the woman in you that makes you want to play this game.

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