io, il jukebox, Arafat e Arturo
Bologna, settembre 1993.
Sono a Bologna, perché in qualità di scrittore del libro più venduto d’Italia, partecipo al Festival Nazionale dell’Unità.
I miei compagni di palco saranno Paolo Rossi, Antonio Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo, Alessandro Bergonzoni e altri.
Dico “saranno” perché lo spettacolo si svolgerà fra qualche giorno ma già domani si faranno le prove.
E comunque io sono arrivato prima per farmi un bel weekendino bolognese.
Il sabato mattina lo passo a gironzolare fra le mille colorate bancarelle del Mercatino della Montagnola. Il mercato si divide a metà fra la piazza 8 agosto, con bancarelle di abbigliamento usato, altre di indumenti e accessori militari, altre ancora di oggettistica più o meno improbabile e l’altra metà nel verde del Parco della Montagnola, dove c’erano i banchi più votati a quello che solo in seguito si sarebbe definito “vintage” e che ora si chiama antiquariato e/o modernariato. E’ in questa zona che, più o meno in mezzo alla strada, un signore ha piazzato, in vendita, un jukebox.
Per quelli come me che hanno un arredamento casalingo di ispirazione RenzoArboriana, il jukebox è un elemento in cima alla piramide dei desideri. Più del ventilatore Marelli, della bilancia verticale a moneta, più del grammofono, della radio a valvole, diciamo che il jukebox se la batte con il vecchio flipper elettromeccanico.
C’è da dire che io, il flipper, già ce l’ho.
E quindi vado a informarmi.
Il jukebox è un modello degli anni 60, marca Ami. Non è né un Wurlitzer, star indiscussa della categoria, quello verticale con la forma superiore ad arco, e neppure uno dei vecchi Rock Ola del tipo sigla di Happy Days, con la rotella da far girare vorticosamente per selezionare il disco.
Si tratta di un modello indubbiamente più modesto ma per questo più economico e perciò alla portata delle mie tasche: le quotazioni dei jukebox più famosi non sono avvicinabili dal mio portafogli.
- Buongiorno, quanto costa il jukebox?
- 2 milioni.
- Eeeh, va be’, due milioni... Ma questo è un jukebox troppo fresco, di che anno è?
- Di preciso non lo so ma sicuramente ha più di trent’anni. Perché il Pasini, il gestore del bar di Budrio, dove io l’ho preso, l’aveva comprato nuovo e mi ha detto che l’età deve essere più o meno quella. Questo jukebox fino alla settimana scorsa suonava ancora nel bar. E ha sempre funzionato bene. Il Pasini mi ha detto che l’unico intervento che gli ha fatto è stato cambiare la gettoniera, che prima prendeva le 50 e le 100 lire e ha fatto mettere quella a 500 lire.
In principio era: 50 lire una canzone, 100 lire tre canzoni.
Che era un discreto investimento negli anni 60-70.
Molto spesso il capitale da spendere in musica era frutto di una colletta fra più azionisti: si arrivava a fatica, in gruppo, alle 100 lire e partiva il dibattito sulle tre canzoni da scegliere.
Innanzitutto non si sceglieva mai la canzone più ascoltata, il tormentone (neologismo ancora non inventato) dell’estate, che tanto quella, se stavi seduto un altro po’ al tavolino del bar, la riascoltavi sicuramente.
La maggioranza dei jukebox aveva l’enorme cifra di 100 canzoni fra cui scegliere, alcuni, da non credere, ne avevano addirittura 200. Roba da rimanere quasi rintronati dalla vastità dell’offerta.
Noi facevamo scelte sofisticate, canzoni quasi sempre straniere.
La tripletta di canzoni consentita dalle nostre 100 lire era di solito composta così:
Una canzone scelta fra i nomi nuovi che per la prima volta leggevamo sulle etichette colorate, Al Stewart, “The Year of the Cat”, Christopher Cross, “Ride like the Wind”, Kate Bush, “Wuthering Heights”. E ancora prima Carly Simon, “You’re so vain” o un tale Stevie Wonder, “Isn’t she lovely”.
La seconda canzone doveva farci andare sul sicuro: erano star inglesi e americane dal successo conclamato: Elton John, Diana Ross, Bee Gees.
La terza canzone era una concessione al pop italiano, anche per fare contente le ragazze nei dintorni, insieme alle quali potevamo canticchiare fingendo una ispirazione non troppo convinta vicino allo strumento di diffusione musicale: Gli Alunni del Sole, “Jenny”, o Umberto Balsamo, “L’Angelo Azzurro”, Mia Martini, “Piccolo Uomo” per finire con Marco Ferradini, “Teorema”.
Sì, avevo anche ricordi ancora più vecchi, di canzoni provenienti da jukebox che si ascoltavano al Lido Bikini di Marina di Minturno nei tardi anni ’60 in maggioranza, per la verità, italiane: Lucio Battisti, “Acqua azzurra, acqua chiara” e “Fiori rosa, fiori di pesco”, poi Celentano, con “Azzurro”, Giuliano dei Notturni, “Il Ballo di Simone” ma quelle non le sceglievo io, che ero ancora troppo piccolo.
Ancora non pagavo.
Negli anni seguenti, invece, si trattava di soldi.
Quindi, dopo la scelta delle tre canzoni, si poteva procedere.
Si selezionava con attenzione la sigla dei dischi corrispondenti, una lettera e una cifra da 0 a 9.
Con attenzione.
Perché, se sbagliavi, partiva a cavolo “Roberta” di Peppino di Capri, “Pop corn” o, orrore, “Dune Buggy”, all’inizio della quale capivi di aver combinato un casino, sbagliato tasto e buttato al vento una parte cospicua della playlist.
E poi c’era l’ascolto, che era sempre molto attento.
Sì, perché quella canzone la sentivi lì e basta, ora o mai più: niente radio locali, niente walkman, niente iPod, niente Spotify o Pandora.
Qui e ora.
Ehi gente, queste sono le nostre canzoni.
Tu, moretta, che stai canticchiando “accoccolati ad ascoltare il mare”, sono stato io a selezionarla, capisci? Proprio io. Vuoi cantare con me? Vorresti ballare? Desidereresti essere la madre dei miei figli?
Ma... ma chi cazzo ha messo “Yuppi Du”?
Ma basta con i ricordi, qui dobbiamo portare a casa un affare.
- Quindi c’è la gettoniera da 500 lire. Ammazza. 500 lire per una canzone...
- Sì, gliel’ho detto, questo jukebox ha funzionato fino a pochi giorni fa nel bar del Pasini.
- Va be’, ma due milioni sono troppi. E poi, domanda fondamentale: funziona?
- Certo, funziona perfettamente.
- Ok, io mi fido, però non è che posso pagare un milione...
- Due milioni...
- ... per un jukebox senza nemmeno sentirlo. Come vogliamo fare?
- Può venire stasera a casa mia, io lo tengo momentaneamente in garage, e posso farglielo sentire in funzione.
- Sì ma guardi, io davvero più di un milione non posso pagare. Non ce li ho...
- Troppo poco, facciamo un milione e mezzo.
- Un milione e due e affare fatto.
Ci stringiamo la mano con enfasi esagerata.
Mi dà un biglietto da visita con l’indirizzo di casa sua.
Appuntamento alla sera tardi, perché io fino a una ora ho le prove dello spettacolone del Festival dell’Unità.
Devo anche recuperare un mezzo idoneo al trasporto dell’oggetto in questione da Bologna a Roma. Mi prestano un Fiorino.
E’ sera tardi quando arrivo all’abitazione del mio spacciatore di jukebox e l’immagine che mi si propone non è delle più confortanti: la luce del box a fianco alla casa accesa, il jukebox al centro del garage con il ‘cofano’ aperto e il signore del mercato della Montagnola con la testa all’interno, intento in chissà quali manovre manuali.
- Guardi, non so che dirle, ha sempre funzionato, anche perché non so se gliel’ho detto ma fino a pochi giorni fa...
- Sì si, funzionava nel bar di Budrio, del Pasini, me l’ha detto. Ma ora che succede?
- Be’, volevo stare tranquillo che tutto funzionasse. Sapendo che sarebbe venuto, ho attaccato la spina e ho fatto una prova. Funziona tutto, vede? Luci, selezioni... Però quando è il momento di mettere il 45 giri sul piatto, c’è questa pinzetta di plastica che dovrebbe acchiappare il disco e non ce la fa. Io veramente non so che dire.
Cavolo, che delusione. E’ ovvio che non mi porterò fino a Roma un jukebox che non funziona. C’è già il flipper che mi fa disperare parecchio, quando si rompe. Ogni volta devo chiamare il vecchietto, Arturo.
Mi viene in mente l’ultima disperata chance, la carta della disperazione: chiamo Arturo.
Mi allontano di qualche metro, lasciando il bolognese con la testa nel jukebox. Con il mio nuovissimo cellulare Swatch color verde acqua, compongo, a memoria, il numero di Arturo.
Arturo è il mio flipperista di fiducia. Di fiducia, più che altro perché è l’unico rimasto in tutta Roma e dintorni. Lo conosco ormai da anni. Il numero me l’ha dato quello da cui comprai il flipper secoli fa, in un magazzino della periferia romana. Arturo è già venuto da me tante volte.
Arriva con la sua vecchia Fiat Regata azzurra, parcheggia, scende dalla macchina e nel portabagagli prende una vecchia borsa degli attrezzi di pelle. In quella borsa ho visto le lampadine, i contatti elettrici, le molle e le bobine più strane, vecchie e sconosciute. Tutte americane, Gottlieb’s, per la precisione, la marca del mio flipper.
Le riparazioni richiedono sempre parecchio tempo durante il quale Arturo, a cui piace chiacchierare, mi ha raccontato tantissime cose, compreso il fatto che prima lui lavorava moltissimo con flipper e jukebox mentre ora va in giro a cambiare le schede elettroniche delle slot machine nei bar, un lavoro molto meno creativo di prima.
E’ per questo che gli piace venire da me ad aggiustare il flipper: lo riporta ai tempi della sua gioventù, quando, soprattutto d’estate, girava per gli stabilimenti balneari di Ostia e Fregene accolto sempre da gestori preoccupati e salutato sempre come il salvatore della patria.
Arturo arriva dall’altra parte di Roma e rimane quasi sempre mezza giornata a casa mia, aggiusta il flipper dopo aver reperito chissà dove pezzi sconosciuti, introvabili e, per me, di valore incommensurabile, infine li monta con perizia da tecnico specializzato; poi, quando arriva il momento di pagarlo...
- Allora, Arturo, quant’è?
- Eh, dotto’, questa volta andiamo male: ho dovuto cambiare la bobina del tasto destro, e la serie di carte di cuori che si era bruciata, più qualche lampadina
- Va bene, va bene, mi dica...
- Facciamo 15mila lire...
E’ pochissimo.
Per un lavoro così lungo, così specializzato, per aver trovato pezzi introvabili e montato pezzi immontabili, be’, è troppo poco.
Vorrei dirgli: Arturo, lei lo sa che è l’unico al mondo in grado di aggiustare il mio flipper? In grado di portarmi la lampadina dello special, l’asso di fiori e il fungo da mille punti? Io le voglio dare 100mila lire, non 15mila. E poi, vorrei farle una domanda: Arturo, ma lei ce l’ha un erede? Qualcuno a cui lei ha trasmesso tutta la sua incommensurabile conoscenza? Perché, Arturo lei è un vecchietto molto vecchietto... Da qui a cent’anni, quando lei non ci sarà più, io come farò?
Ma in realtà non glielo dico.
Lo pago quello che mi ha chiesto e spero che rimanga in buona salute fino alla prossima visita al capezzale del mio flipper.
- Pronto? Arturo sono Riccardo, del flipper...
- Buonasera dotto’, come mai a quest’ora?
- Eh, Arturo, è un’emergenza... Sono a Bologna e sto comprando un jukebox. Però ha un problema...
- Che jukebox è?
- C’è scritto Rowe Ami in arancione
- La selezione è a pulsanti o a rotella?
- A pulsanti.
- Quanti dischi ha? Cento o duecento?
- Duecento.
- Ho capito, dovrebbe essere il Music Merchant.
- Eh, Arturo, però c’è un problema...
- Eh lo so: la pinzetta non acchiappa il disco. E’ un classico, si rompono sempre...
- Marò, Arturo, esatto, è proprio quello il difetto! Ma è una cosa grave?
- Ma no, dotto’, è una sciocchezza, io ho la pinzetta nuova. Vengo e gliela cambio.
- Allora vado? Posso comprarlo?
- A quanti soldi?
- Arturo, stiamo trattando sul milione e duecentomila.
- Va bene, non di più. Se aveva la rotella valeva di più, ma questo non ce l’ha.
- Ok Arturo, grazie, la chiamo quando sono a Roma.
Il venditore d’auto usate che è in me, dodici anni in concessionaria ti permeano, viene fuori improvvisamente dopo la rassicurante telefonata con Arturo: ero passato in un attimo dalla disperazione per non poter avere più quel meraviglioso juke box alla notizia che la riparazione era facile facile e che quel reperto di una intera generazione poteva essere mio. Ma l’euforia fece molto di più: vado ad improvvisare una scena madre di alto livello.
Ritorno dalle parti del bolognese ancora alle prese con il jukebox.
- Guardi mi dispiace, ho parlato con il mio personal jukebox consultant a Roma e mi ha detto che non ci siamo. La riparazione è lunga e difficoltosa. Inoltre il pezzo è introvabile e comunque costerebbe un sacco di soldi... Il nostro accordo è annullato
- Ma come! Ci eravamo stretti la mano...
- Vero. Ma lei mi aveva detto che il jukebox funzionava perfettamente e qui ancora non siamo riusciti a sentirlo suonare.
- Va bene, va bene, ma proviamo a metterci d’accordo: quanto costerebbe la riparazione a Roma?
- Uh! Non ne parliamo! Il mio consulente speciale in meccanica musicale ha detto che questo è un difetto cronico di questi jukebox, bisogna cambiare mezzo motore, il carosello portadischi e il pistone rotante interno (quest’ultimo nominato da me ad minchiam, era in realtà una parte del motore rotativo Wankel presente su alcune vecchie NSU e rare Mazda). Fra l’altro, l’ingegner Arturo mi dice che è inutile che lei continui a provare a farlo partire, potrebbe peggiorare le cose.
- Ah, capisco... Ma io a questo punto che me ne faccio di questo rudere che neanche funziona? E poi qui nel garage non posso neanche tenerlo, ci devo mettere la macchina... Avevo detto a mia moglie che stasera questo coso se ne andava via da qui...
- Guardi, io non vorrei sembrare un approfittatore... Come ha visto ero intenzionato a comprarlo, sono venuto a quest’ora fino a qui... Però questi problemi tecnici e meccanici hanno raffreddato molto il mio primitivo entusiasmo... Diciamo che le faccio un’offerta più a peso che a valore... E almeno le libero lo spazio in garage così sua moglie sarà contenta, chi la sente, se no, dopo la promessa di liberare il box...
- Ecco, bravo, vedo che ha capito la situazione...
- Mezzo milione e me lo porto via adesso
- Cavolo, è un po’ poco
- Poco? Per un jukebox che non funziona? E che le occupa il garage contro il volere di sua moglie? Quanto dovrebbe spendere per chiamare qualcuno e farlo portare via? Senta a me, è una offerta onesta
- Va bene, affare fatto...
Ci stringiamo la mano per la seconda volta.
Lui è molto meno convinto della prima.
All’indomani, giorno in cui mi esibirò al Festival Nazionale dell’Unità, ci saranno altri personaggi ben più importanti che si stringeranno la mano a Washington: Arafat e Begin davanti Bill Clinton. Stasera io e il signore del mercato davanti al jukebox.
Con non poca fatica, carichiamo il jukebox nel furgone Fiorino, pago e ritorno a Bologna.
Il furgone sarebbe rimasto un paio di giorni in un garage. Il tempo di guadagnare, con le mie esibizioni artistiche, i soldi che avevo già speso prima ancora di incassarli (costante questa di una buona parte della mia vita economica) e il lunedì riparto gioioso alla volta di Roma.
La prima tappa è la trasmissione pomeridiana “Tappeto Volante” dove sono stato incautamente convocato in qualità di ospite: sul divano, con me e i conduttori Luciano Rispoli e Roberta Capua, un medico semisconosciuto, Gino Strada che racconta il suo visionario progetto, e la sua associazione appena fondata, Emergency. Aderisco alla lodevole iniziativa con un obolo sul conto corrente e mi offro per una serata benefica che ci sarà di lì a pochi giorni al Terminal Ostiense, mega struttura costruita per i Mondiali di Calcio in Italia del ’90 e riconvertita a location per manifestazioni con un pubblico molto numeroso.
La serata prosegue a cena con la compaesana Roberta Capua che rimane appena appena perplessa alla visione del mio mezzo di locomozione e del suo contenuto.
Le racconto la lunga storia del jukebox.
- Sei un filibustiere: 500mila lire per questo gioiello
- E’ il suo prezzo, io sono un tipo onesto
- Seeh.
A fine giornata, con il mio gioiello della telefonia mobile, Swatch TCE 123 color verde 346 pantone, grande come una bottiglia di vino, telefono a mio fratello Dario che, nel frattempo, ha organizzato una festa con amici a casa mia, vista la mia assenza. Lo avviso che sono in arrivo e che mi dovranno aiutare a salire i sette scalini dall’entrata del cancelletto di casa fino alla casa.
E’ notte quando arrivo.
Dario mi ha aspettato e mi aiuta in questa impegnativa impresa, soprattutto se svolta a quell’ora e con quel tasso alcolico.
Scarichiamo il jukebox dal furgone.
- Bello, quanto l’hai pagato
- 500mila lire.
- Che culo! Ma come hai fatto?
- E’ una lunga storia, dai, portiamolo su in casa
Lo prendiamo di peso e, veramente con uno sforzo al limite, se non leggermente al di sopra delle nostre possibilità, intralciati nel nostro lavoro dal bobtail Spazzola ansioso di farmi le feste, riusciamo a salire i sette scalini della scala del giardino. Appoggiamo il jukebox sul vialetto.
- Riccardo, e dove lo metti, in salotto?
- Sì, il suo posto è lì
- Non ci credo che l’hai pagato così poco...
Racconto a Dario il mercato, l’Unità, Arafat, Arturo e tutto il resto.
- Forza, l’ultimo sforzo, Dario, lo scalino della soglia di casa ed è fatta.
Dario prende il jukebox da sotto, lo alza un po’ giusto per fargli scavallare lo scalino della porta d’entrata. Io lo sollevo dal lato opposto, lo spostiamo quel tanto che basta per fare l’entrata trionfale in salotto. Ma a Dario scappa la presa e, sebbene da un’altezza non troppo elevata, il jukebox cade dall’alto (pochi centimetri) verso il pavimento.
Una scivolata, una parolaccia ma niente di grave: ricordo ancora distintamente i due diversi rumori di quella circostanza.
Il primo è il rumore di metallo della rotella del jukebox che piomba sul pavimento.
Il secondo è un “cloc” di un fino ad allora sconosciuto sportellino, presente sul lato corto del jukebox, in basso, che si apre a causa del contraccolpo. E’ il cassetto segreto del tesoro: ai nostri occhi si disvela un sacchetto di stoffa di colore chiaro, pieno di monete da 500 lire.
Aveva ragione il signore del mercatino: l’ultimo proprietario aveva cambiato la gettoniera e ora il jukebox funzionava a monete da 500.
Solo che aveva anche dimenticato di prendere l’ultimo incasso.
E insomma, com’è, come non è, una ulteriore metà del prezzo che avevo pagato fu coperta dal cassetto del tesoro.
Il jukebox è ancora con me e funziona benissimo.
Grazie ad Arturo che oggi non c’è più ma che all’indomani venne e mi portò la pinzetta ad archetto da sostituire.
Conservo ancora quella vecchia, rotta, come cimelio e sono l’unico che, guardando un vecchio ricambio di jukebox, penso alla pace fra Israeliani e Palestinesi.
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