io, Battista Fiordarancio, l'Ovomaltina e la Citroen 2 CV Charleston

Roma, 1983.

Con mia fidanzata Giuliana siamo a fare la spesa al Supermercato vicino al Villaggio Olimpico.
Mi assale una voglia talmente prorompente che da quel giorno penso di capire i desideri improvvisi delle donne incinte: voglio l’Ovomaltina.
L’ultima volta l’avevo presa a colazione quasi venti anni prima: ero piccolo, con tutti i fratelli riuniti intorno al tavolo prima di andare a scuola.  Sciolta nel latte della Centrale di Napoli, quello nelle buste triangolari gialle.
L’Ovomaltina.
Non era cacao, ma il colore ci assomigliava. 
Non era neanche del tutto in polvere, le scaglie erano un po’ più grandi, di un colore marrone riflettente, lo definirei metallizzato.
Un sapore particolare ma a me piaceva.
Mentre mi avvio alla cassa, chiedo a Giuliana se va a cercarla sugli scaffali. 
- Non l’ho mai sentita nominare, com’è fatta?
- E’ un barattolo arancione cilindrico, col tappo superiore di plastica. Almeno era così vent’anni fa. Una specie di Nesquik ma un po’ diversa. La troverai.


Nel frattempo mi avvio a pagare. Svuoto il carrello sul nastro della cassa, e noto con sconforto che Giuliana sta ritornando con una inadeguata scatola di Nesquik.

- Ma cavolo, Giuliana, ti ho spiegato: non è Nesquik, è una voglia atavica che risorge da meandri nascosti della mia coscienza alimentare infantile: e si chiama Ovomaltina!
- Senti Riccardo, l’Ovomaltina non ci sta. Ho trovato il Nesquik, se lo vuoi, bene, se no vai e lo rimetti sullo scaffale. Sta lì in fondo, ti aspetto.
- Lo scaffale?
- Lo scaffale.
- Lì in fondo?
- Lì in fondo, dopo i detersivi e tutte le conserve
- Va be’, prendiamolo. Sì sì, alla fine va bene pure il Nesquik.


Questa breve premessa stabilisce con quale entusiasmo io abbia acquisito questa benedetta scatola di Nesquik che, puntualmente, il giorno dopo, a colazione, vado ad inaugurare, un po’ controvoglia perché quello che desideravo, in realtà era l’Ovomaltina, ma vabbé.
Apro la scatola e provo a prendere un cucchiaino di Nesquik. Sento che il cucchiaino urta qualcosa di resistente nel cacao in polvere. E’ un dischetto blu di plastica, su cui c’è scritto: “Complimenti! Hai vinto una bicicletta Bianchi BMX!” Naturalmente non mi sfiora neanche minimamente l’idea che io abbia vinto qualcosa. Giro il dischetto di plastica per leggere ’altro lato, aspettandomi la solita scritta del tipo: “Raccogli 10 dischetti come questo, spediscili alla Nestlè e potrai partecipare all’estrazione di 5 biciclette che avverrà entro il 31 dicembre 1985”.
Ma in realtà, c’è solo un numero di telefono. Chiamo, giusto per curiosità e ricevere la mia dose mattutina di disincanto.

- Complimenti, signore, ha vinto una bicicletta Bianchi BMX
- Sì, ho capito, ma devo fare qualcosa? Raccolte, spedizioni, estrazioni? Prove d’acquisto?
- No, lei ha già vinto la bicicletta. Mi legga solo la sigla numerica che c’è scritta sul dischetto... 

Gliela leggo

- Bene, mi dica signore, dove desidera che le spediamo la bicicletta?
- Dipende, ci sono degli orari di consegna stabiliti?
- Dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18: ci deve sempre essere qualcuno in casa quando arriverà il corriere
- Posso darle l’indirizzo del mio luogo di lavoro? Così siamo sicuri che in orario d’ufficio ci sia sempre qualcuno.
- Bene, mi dica.
- Riccardo Cassini, presso Concessionaria Fiat Centro Nord Auto, via Boccea, angolo via Mattia Battistini, Roma.
- La consegna è prevista in due o tre giorni..

Continuo a non crederci ma, insomma, dopo tutto la centralinista sembrava abbastanza convincente. Chissà...
Finisco la colazione, e in fondo questo Nesquik non è poi così male. Certo che l’Ovomaltina... va be’, vado al lavoro.
Il mio è un percorso fisso: da via Cassia, dove abito, vado verso il Raccordo Anulare. Appena prima dell’entrata del Raccordo c’è la sede centrale della concessionaria. Vado sempre lì, ritiro carte e documenti vari e poi proseguo verso l’altra sede, quella di via Boccea dove lavoro per tutto il giorno: entro nel Raccordo allo svincolo Cassia ed esco due svincoli dopo a quello Boccea.
Questo sempre, tutti i giorni.
Tutti i giorni.
Anche quel giorno lì, il venerdì seguente.
Faccio colazione con il latte e Nesquik, pane e Nutella.
Esco di casa e prendo la macchina: una Citroen 2 Cavalli modello Charleston. 
Mi piace molto. Ne ho avute tante di auto simili.
La prima, nell’81, arancione, la comprai nuova e si incendiò mentre ero in autostrada undici mesi dopo il suo acquisto. Dentro c’era anche la mia chitarra che si è salvata per miracolo grazie al fodero rigido sul quale è rimasto un odore di bruciato per anni. Ho ancora fodero e chitarra e se ci avvicino il naso e inspiro ad occhi chiusi, lo sento ancora.
La seconda 2 Cavalli era color verde brillante, ex proprietaria Paola, amica del mio collega di lavoro Enrico, lì alla concessionaria: questa aveva il motore 400, la cilindrata più piccola in vendita per un’auto in Italia. Con la 2 Cavalli verde andammo fino a Montecarlo in cinque, roba dell’altro mondo.
Poi ancora una Dyane, di nuovo arancione, che è stata la macchina del mio viaggio di nozze.
E ora avevo la Charleston, bicolore nera e bordeaux con i sedili in stoffa grigia trapuntata. Gran lusso.
Salgo sulla macchina e vado alla sede centrale.
Entro, saluto e prendo quel che devo: i documenti, i libretti, le targhe. E con questo bel pacchetto sotto al braccio esco dal salone. 
Nel piazzale mi saluta Battista.
Battista, che già il nome può sembrare abbastanza singolare, e per di più di cognome fa Fiordarancio, è l’autista della bisarca, il camion a due piani che trasporta le auto. Una specie di carro attrezzi per comitive. 


Battista mi chiede se sto andando alla sede di Boccea, gli rispondo di sì. Mi dice che allora ci vedremo lì, perché anche lui ci deve passare.
Accendo la mia Charleston e mi avvio.
Imbocco il Raccordo Anulare da via Cassia in direzione Boccea.
Faccio qualche chilometro ed alcuni segnali inconfutabili, quali l’accensione a rosso fisso della spia dell’olio e, soprattutto, il fumo proveniente dal motore, mi rendono edotto che qualcosa di grave sta accadendo al mio mezzo di locomozione.
Accosto sul lato della strada, scendo e apro il cofano anteriore, come se ci capissi qualcosa di meccanica, per dare un’occhiata. 
Ci vuole una particolare attitudine per riuscire a fondere il motore di una 2 Cavalli: innanzitutto è raffreddato ad aria, quindi non ha neanche il radiatore, non bisogna neppure controllare l’acqua; poi non consuma olio, quindi basterebbe un controllino all’assicella apposita una volta ogni sei mesi, anche una volta all’anno; e poi c’è la spia della pressione che incomincia a lampeggiare per avvertirti. Insomma, ce ne vuole per ritrovarsi, come me, col motore grippato e fumante sul Raccordo.
Inquadriamo brevemente il luogo e il momento storico: sono sul Grande Raccordo Anulare, sigla GRA, che deriva intuibilmente dal suo ideatore e progettista, l’architetto Eugenio Gra. Che è andata anche bene, pensa se si fosse chiamato di cognome Mastrobernardino.


Nel 1985, il Raccordo è pressoché identico a quando è stato inaugurato nel 1951: sessantotto chilometri di anello d’asfalto che gira intorno a Roma, con pochi fronzoli e nessuna comodità. Per essere più chiari, non ci sono Aree di Servizio, colonnine S.O.S. e, ricordiamolo, il telefono cellulare vedrà la luce solo fra cinque anni.


Quando uno si ferma con la macchina,  in panne sul Grande Raccordo Anulare, come è appena successo a me, ha tre alternative: 

A) abbandonare l’auto e farsela a piedi fino allo svincolo più vicino
B) abbandonare l’auto e fare l’autostop
C) attendere l’arrivo di un carro attrezzi di quelli che, nell’arco di tutta la giornata, percorrono il Raccordo in cerchio, come gli avvoltoi (è proprio così che sono chiamati...) in attesa di proporsi per il soccorso a cifre iperboliche.



Sto mentalmente vagliando quale delle tre ipotesi sia la meno sconveniente, seduto pensieroso sul sedile della mia Charleston, quando sento un doppio colpo di clacson. Mi giro: è Battista Fiordarancio, alla guida della sua bisarca, che ha visto la mia macchina sul ciglio della strada e si è fermato dietro di me. Mi chiede se serve aiuto, inanella una serie di battute in romanesco riguardo al fatto che proprio io, scaltro venditore di auto, sia rimasto appiedato, per giunta nella strada più temuta da qualsiasi automobilista, e termina il suo repertorio sottolineando la botta di fortuna che ho avuto sia perché lui è passato di lì, sia perché sul camion c’è un posto libero per la mia macchina.
Bene, possiamo quindi caricarla e recarci gioiosamente verso Boccea come se nulla fosse accaduto.
C’è da riconoscere che rispetto alla passeggiata, all’autostop o all’avvoltoio, la variante Battista Fiordarancio è stata risolutiva. C’è gente che, nella mia stessa condizione, avrebbe perso ore su ore e soldi su soldi. 
All’arrivo nel piazzale della sede distaccata della concessionaria Fiat Centro Nord Auto, in via Boccea angolo Mattia Battistini, cerco di far passare sotto silenzio il mio exploit ma non è possibile: Battista Fiordarancio fa viaggiare la notizia raccontando e arricchendo via via la sua versione di tanti gustosi particolari.
Mi prende in giro Enrico, il mio collega venditore nel salone.
Mi sfotte il signor Gradanti, decano degli impiegati, età quasi ottanta.
Mi canzonano i due meccanici, risaliti alla bisogna dalla sottostante officina, situata al livello inferiore rispetto al salone e collegata dalla tipica ripida rampa di accesso, mentre fanno scendere a spinta dal camion la mia povera auto. 
Ho un buon rapporto con i due meccanici. 
All’inizio non ero nelle loro grazie, non avendo mai  nascosto la mia ignoranza assoluta sulla conoscenza del reparto 'motoristico' delle automobili. Sì, è vero, il mio mestiere è vendere auto, ma per concludere buoni affari, ci vuole un mix di conoscenza delle auto ma anche di psicologia, per capire il cliente, o presunto futuro tale, che hai davanti, ci vuole velocità di pensiero matematico, rispetto ad anticipo, rateazioni e permute, ed infine ci vuole una discreta faccia tosta rispetto ai cento imprevisti di una trattativa.
Ecco, diciamo che io bilanciavo la mancanza di esperienza riguardo alla conoscenza dei motori con gli altri parametri.
La benevolenza e il rispetto dei due meccanici Stefano e Luciano me la sono guadagnata in un altro modo.
Tre anni prima.
E qui occorre aprire doverosamente una parentesi.

Dicembre 1983.
E’ da poche settimane che lavoro al Centro Nord Auto. 
Scendo giù in officina:

- Ragazzi, nel nostro parco usato c’è per caso un furgone con il tetto rialzato?
- Che ci devi fare?
- Ci devo trasportare un flipper.
- Un flipper?
- Sì, un  vecchio flipper da bar: l’ho trovato in un deposito di via Tiburtina, una specie di cimitero dei vecchi giochi meccanici e voglio portarlo a casa. 
- E dove te lo metti?
- A casa, in salotto.
- In salotto? Tu sei matto.
- Va be’ ma sto furgone c’è o non c’è?
- Sì, c’è quel vecchio Ford Transit, ci puoi mettere la Targa Prova e fare il trasporto.

Durante l’intervallo, salto sul furgone e vado a caricare il flipper a via Tiburtina. 
Poi torno a lavorare in concessionaria.
Dirigo il furgone con il suo prezioso carico, con molta cautela, lungo la rampa e parcheggio il furgone in officina. Mi rivolgo ai meccanici:

- Ragazzi, quando chiudete l’officina, non bloccate il furgone mettendoci dietro altre macchine, perché stasera devo portarlo a casa e scaricare il flipper
- ‘A Ricca', ma che, c’hai davèro un flipper nel furgone?
- Certo.
- E che modello è?
- Quello con le carte da poker
- E la buca centrale e gli special laterali?
- Quello
- Nooo! E’ il mio preferito! Quanti soldi c’ho buttato alla latteria sotto casa...

Quel pomeriggio, alla solita ora di chiusura dell’officina, un paio d’ore prima della chiusura del nostro salone sovrastante, non vedo i due meccanici passare davanti alle vetrine e fare il cenno di saluto di routine con il loro sorrisetto che significa “noi ce ne andiamo e voi rimanete qui al lavoro per altre due ore, ciao ciao”.
Alla fine della mia giornata lavorativa, vado di sotto in assistenza a prendere il furgone. Da lontano lo vedo ballare da solo sugli ammortizzatori, mentre nell’aria, con l’eco della grande officina semivuota, si spandono i tipici tintinnii sonori tipo xilofono del mio gioiello elettromeccanico, in uno squisito miscuglio acustico con fantasiose imprecazioni romanesche. Inutile dirlo: Stefano e Luciano hanno attivato una prolunga e dato linfa elettrica vitale al mio vecchio flipper, senza neanche averlo tirato giù dal furgone e sono impegnati in un torneo all’ultimo punto.

La giornata lavorativa finisce a tarda sera. La squadra dei venditori (io e Enrico) dà del filo da torcere alla squadra dei  meccanici (Stefano e Luciano) ma soccombe con onore, mentre il signor Gradanti impara a ottant’anni i primi rudimenti del ‘bigliardino americano’, come lo chiama lui.
Su petizione di tutti i presenti ma in particolare del signor Gradanti che ancora non ha capito le regole che fanno accendere gli Special, prometto che non riporterò il flipper a casa quella sera stessa ma che lo terremo nascosto nel furgone usato, nell’angolo dell’officina per due o tre giorni, senza dire nulla ai nostri rispettivi capi, acciocché tutti ne possano godere durante gli intervalli dal lavoro.
I due giorni diventano sei mesi, come dimostrano le scritte autografe apposte sul flipper, con data, ad imperitura memoria dei vari record personali. 




 
 


Poi, un bel giorno, ci viene data la notizia della avvenuta vendita del famoso furgone usato, ormai fodero ufficiale del flipper (certo non potevamo tenerlo lì in bella vista in una concessionaria di automobili). A quel punto, si rese necessario il trasporto a casa del 'Bigliardino americano' prima della consegna del furgone stesso.
Questa mia lodevole decisione di elargire per alcuni mesi a titolo gratuito il mio flipper alla comunità dell'autosalone, mi fa guadagnare l’imperitura riconoscenza dei due meccanici.

Ma torniamo ora alle ambasce del 1985, alla mia 2 CV Charleston col motore fuso, recuperata al volo da Battista Fiordarancio e testè scaricata in officina.

- Stefano, se ce la fai, dopo, dai un’occhiata al motore. Credo sia saltato tutto, ho camminato senza olio, giusto per capire cosa dobbiamo fare, se vale la pena ripararla e quanto tempo ci vorrà
- Va bene Riccardo, però pure tu, potevi controll...
- Già detto da Battista Fiordarancio
- Lo so, però, cavolo, tu sei pure un venditore di autom...
- Già detto da Battista Fiordarancio
- Però, nella sfiga, hai avuto 'na bella botta di cu...
- Già detto da Battista Fiordarancio
- Va be’ allora ha già detto tutto lui. Facciamo così: noi adesso scarichiamo dalla bisarca le macchine nuove che ha portato Battista Fiordarancio per la consegna ai clienti. Poi carichiamo sulla bisarca le macchine che vanno allo sfasciacarrozze in demolizione. Così liberiamo Battista Fiordarancio che se ne va. E poi do un’occhiata al motore della tua macchina.
- Grazie Stefano.
- Di niente, ti faccio sapere dopo

Sale sulla Charleston, con lo sportello aperto si dà una spinta con il piede sull’asfalto e la guida per inerzia giù per la rampa dell’officina.
Vado alla mia scrivania con lo stato d’animo inquieto, pronto ad una congrua attesa prima di avere notizie della mia macchina ma subito squilla l’interfono con l’officina.

- Riccardo, sono Stefano
- Dimmi.
- Fra le macchine che devono andare allo sfasciacarrozze c’è una Citroen Dyane. La dobbiamo demolire definitivamente. Ha il motore uguale a quello della tua 2 Cavalli ed è in perfetta forma. Che dici se facciamo il cambio?
- Non ci posso credere, questa sì che è una bella botta di ...
- Sì, l’ha già detto Battista Fiordarancio che è qui con me.
- Che faccio, procedo?
- Procedi, procedi.



Appena una mezz’oretta dopo l'aver fuso il mio motore sul Raccordo, cioè nel momento in cui mi sarei dovuto trovare in piena fase camminata-autostop-avvoltoi-eccetera, la vita mi sorride inaspettatamente. 
La giornata lavorativa si dipana tranquilla.
Nell’intervallo scendo in officina a conoscere meglio la situazione. In un angolo, per terra, c’è il “nuovo” motore della mia macchina, ancora smontato. Chiedo lumi a Stefano.

- ‘A Ricca’, il bello di questa macchina è che è stata progettata da un grande architetto francese...
- Sì, c’è lo zampino di Le Corbusier, anche se solo per alcuni disegni...
- Però si capisce che nasce da qualcuno che non faceva automobili di mestiere: quattro bulloni e smonti la carrozzeria dal motore. Questo che vedi qui per terra è il motore della Dyane da demolire. Ora guarda sotto il cofano della tua...
- Azz! E’ vuoto!
- Ho già tolto il tuo motore e l’ho appoggiato alla bell’e meglio nel vano motore della Dyane, che è andata via sulla bisarca di Battista Fiordarancio. Tanto deve essere demolita, sotto la pressa dello sfasciacarrozze. Alle quattro finisco il mio orario di lavoro: mi trattengo un po’ di più e sistemo questo gioiellino di motore sulla tua Charleston.
- Cioè vuoi dirmi che io stasera ritorno a casa con la mia macchina come se nulla fosse accaduto?
- Se tutto fila liscio, sì.
- Tale e quale a prima?
- Meglio di prima: questo bel motore ha camminato pochissimo, è sicuramente meno sfruttato e in condizioni molto migliori del tuo, anche prima della fusione.
- Non ho parole! Questa è veramente un gran botta...
- Sì, l’ha già detto Battista Fiordarancio partendo con la bisarca per andare dal demolitore. Ora torniamo al lavoro. Più tardi, quando ho fatto tutto, ti chiamo.

Riprendo a lavorare con Enrico e il signor Gradanti e il principale argomento dei nostri discorsi è la mia macchina.
Il primo, esperto di motori e ex venditore proprio della Citroen, elogia i modelli francesi, dalle linee sempre evolute e dalle futuristiche idee meccaniche, come i famosi ammortizzatori ad azoto liquido della DS, che la facevano alzare da sola, come un hovercraft o anche camminare su sole tre ruote.
L'anziano venditore fa invece il tifo per i prodotti nazionali, non dimentichiamoci che siamo in una concessionaria Fiat e dice, sacrosanta verità, che anche le Citroen più belle e famose sono disegnate da italiani, come Flaminio Bertoni, Walter Becchia e altri. Come dargli torto.
A pomeriggio inoltrato, squilla l'interfono:

- Riccardo, sono Stefano, puoi scendere?
- Arrivo.

Stefano mi mostra la Charleston, con il nuovo motore, va be', quasi nuovo, già acceso, che gira allegramente con il caratteristico suono che riconoscerei fra mille.
- E' stato più semplice del previsto. Ti garantisco che ora la tua macchina sta meglio di prima
- Grazie Stefano, mi sembra incredibile: da abbandonato sul Raccordo con il motore fuso a possessore di auto col motore seminuovo nel giro di un pomeriggio
- 'A Ricca', come direbbe Battista Fiordarancio...
- Sì lo so, lo so... Ma ora parliamo di affari: quanto ti devo per il tuo lavoro?
- Non ti preoccupare, Riccardo, va bene così...
- No, Stefano, ti prego, insisto
- Macché, figurati, è una sciocchezza, è il mio lavoro...
- Lavoro, Stefano, hai detto la parola giusta, e il lavoro va sempre pagato. Inoltre sei rimasto in officina più a lungo del tuo normale orario: facciamo finta che siano due ore di straordinario, te le pago con piacere.   
- Riccardo, allora facciamo così: io soldi da te non ne voglio. Se mai, poiché mio nipote deve fare la Prima Comunione, mi ha chiesto un regalo... però io non ne so nulla... non so quanto costa, vedi tu... mio nipote mi ha chiesto... aspe', come si chiama...
Mette una mano nella tasca della tuta e ne tira fuori un bigliettino abbastanza sgualcito e discretamente unto di olio d'officina. Legge.
- Bicicletta BMX, Bianchi BMX...


Squilla l'interfono in officina. 
Risponde Stefano.

- Riccardo, è il signor Gradanti: dice se vai su perché c'è un corriere che ti deve consegnare un pacco.
- Digli di farlo scendere qui in officina.

Arriva il corriere. 

- Buonasera, è il corriere Bartolini, devo consegnare una bicicletta BMX, a chi la do?
- La consegni al signore.

E indico l'esterrefatto Stefano. 
Firmo per il ritiro.

- Stefano, guarda un po' se il colore può andare bene per tuo nipote.  

Mi metto alla guida della Charleston con il motore quasi nuovo e vado a fare un piccolo giretto di prova.
Spero che nessuno dica niente a Battista Fiordarancio. 
Quello mi muore.



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