io, Arianna Tronco e il Pennino Magico

Londra, 1996.

E’ l’ultimo giorno di vacanza e abbiamo deciso di passarlo nel più classico dei modi: giornata di shopping selvaggio da Harrods e cena finale all’Hard Rock.
Visto che il motto di Harrods è  "All things for all people everywhere” (tutto per tutti, ovunque) ho deciso che proverò a cercare una cosa strana, particolare, della quale ho desiderio da un po’: un pennino da calligrafia, quelli a inchiostro, che ti consentono di scrivere a mano bei caratteri eleganti, ghirigori e chissà quante altre belle cose.
Questo dico alla mia amica nonché mia agente Arianna Tronco con la quale sono in vacanza, all’uscita della Metro Knightsbridge, mentre ci avviamo ai Magazzini.
Non so perché ho affrettato il passo e sono qualche metro davanti a Arianna quando mi ferma un ragazzo, vestito bene, fiocchetto rosso all’occhiello della giacca. Mi rivolge alcune parole in inglese, poi alla mia risposta in accento anglo/partenopeo...: 

“Sei italiano? Oh, Signore, ti ringrazio! Innanzitutto mi presento, mi chiamo Giovanni, l’educazione è la prima cosa... Volevo dirti che alcuni giorni fa ho accompagnato un mio amico a fare le analisi del virus HIV e...”

Capisco in un attimo che è uno di quei ragazzi che chiedono quella che io definisco l’ “elemosina creativa”: c’è chi dice di essere un pittore ma gli hanno rubato i colori, chi ha subito il furto del portafogli e sta facendo la colletta per comprare il biglietto per tornare a casa..., insomma sento puzza di richiesta economica incombente... Il giovane non mi ha convinto, non è credibile, ripete troppo a pappardella, quindi lo liquido rapidamente. 
Il caro Giovanni non si dà per vinto e attacca con Arianna, cinque metri indietro, e io sento di nuovo la filastrocca: 

“Sei italiana? Oh, Signore, ti ringrazio! Innanzitutto mi presento, mi chiamo Giovanni, l’educazione è la prima cosa... Volevo dirti che alcuni giorni fa...”

Arianna l’ascolta per non più di quattro secondi e poi, per scrollarselo di dosso anche lei, mi chiama: 

“Riccardo, aspettami, non correre” 

e affretta il passo. Giovanni ci insegue per un po’, continuando la sua parte a memoria, ma quando capisce che non risolverà molto con noi due, rallenta. E si vendica a suo modo. Più ci allontaniamo e più, rivolgendosi a noi, alza il volume dei suoi anatemi.

“Potevate dirlo prima che non ve ne frega nulla! Bella solidarietà! Bravi! ‘A viscidi! ‘A viscidiiiiii!”

Sarà che a noi ‘viscidi’, prima di Giovanni non ce l’aveva mai detto nessuno, questo appellativo diventa il nostro tormentone di giornata durante lo shopping da Harrods.

“Viscido, guarda che bel maglione” 
“Viscida, ti piacciono queste scarpe?”
“Viscido, prendiamoci un caffè”

Con mia grande soddisfazione, proprio alla fine del nostro percorso, nel sotterraneo dei Magazzini, trovo la preziosa confezione Calligraphy for Beginners, Calligrafia per Principianti.

“Guarda qui: pennini di vari tipi, cartucce d’inchiostro e manualetto di istruzioni per i caratteri calligrafici più famosi. Il tutto a 10 sterline. Viscida, lo compro”.

Torniamo in albergo con i nostri pacchi e pacchetti. Faccio una doccia, preparo anche la valigia per portarmi avanti, al mattino seguente dovremo lasciare l’albergo, lascio fuori solo la maglietta per dormire, lo spazzolino da denti e il libro sul comodino: Tre Uomini in Barca.
Nell’attesa che Arianna disbrighi l’estetica e il maquillage, non resisto e apro la confezione di Calligraphy for Beginners, e rimiro il contenuto del mio nuovo acquisto: ci sono varie forme di pennino intercambiabili e cartucce d’inchiostro di colori assortiti. 




Decido per un colore marrone seppiato che fa molto antico.
C’è il manuale di istruzioni ma lo vedo bello impegnativo. C’è anche il quadernetto con le righe simili a quelle della nostra terza elementare ma ora non voglio scarabocchiarlo. Intendo solo provare a scrivere una cosa con il mio pennino nuovo, così, per vedere cosa succede. Prendo un paio di fogliacci del mio quaderno a quadretti degli appunti.
Qual è la prima cosa che vi viene in mente di scrivere per provare una penna su un foglio bianco? Ve lo dico io: il vostro nome. E’ matematico. E’ scientifico. E io non mi discosto dalla media dell’Umanità:




Riccardo Cassini
Firma di me medesimo
apposta in Londra
addì ventisei agosto
millenovecentonovantasei
ABCDEFG

Uau! Certo, non sono ancora un grande esperto di calligrafia ma mi rendo conto che la punta “a spatola” fa degli effetti in curva notevoli...
Mi lancio.

C'era una volta,
tanto tanto tempo fa
in un paese lontano
lontano, un viscido che
si chiamava Giovanni

Mentre, con gran soddisfazione estetica, vergo questi immortali pensieri, Arianna mi convoca velocemente: è tardi, è quasi orario di cena, dobbiamo correre all'Hard Rock.
Sui fogli con le prime frasi del pennino, l'inchiostro è ancora bagnato. Naturalmente non ho la carta assorbente. Va bè, li metto fra le pagine del libro sul comodino. (Sempre Tre Uomini in Barca).

Hard Rock.
Albergo.
Notte.
Sveglia.
Valigia (maglietta della notte, spazzolino da denti e libro).
Ultimo giretto per Londra.
Taxi.
Aeroporto.
Volo di ritorno.
Roma.

Trascorro la prima giornata romana, dopo il ritorno, a casa.
Alla sera, prima di dormire, decido di leggere un po’ Tre Uomini in Barca, che ho messo lì, sul comodino.
Lo prendo, lo apro e dal libro cadono i foglietti con le mie prove di calligrafia inglesi del giorno prima:




Riccardo Cassini
Firma di me medesimo
apposta in Londra
addì ventisei agosto
millenovecentonovantasei
ABCDEFG

C'era una volta,
tanto tanto tempo fa
in un paese lontano
lontano, un viscido che
si chiamava Giovanni

Per un attimo mi ricompare la sua faccia: “Sei italiano? Oh, Signore ti ringrazio...” e poi “Viscido” e “Viscida” e tutto il resto. Subito dopo mi domando cosa poteva albergare nella mia capoccia nel momento in cui scrivevo “il Viscido Giovanni” come prova del mio pennino, facendo per altro una crasi di due avvenimenti distinti ma preferisco non rispondermi.
Metto i foglietti sul comodino e riprendo a leggere il libro proprio da lì, dove si è aperto, che poi è il punto dove sono arrivato l'ultima volta: ho l’abitudine, durante la lettura, di aprire “troppo” i libri producendo uno sforzo nel dorso della rilegatura, e questo fa sì che ci sia una netta distinzione fra la parte del libro già letta e quindi un po’ vissuta, usata, e quella ancora da leggere, intonsa e ordinata. E le due parti tendono a rimanere un po' separate, anche a libro chiuso.
Ma torniamo a Tre Uomini in Barca, nel punto dove avevo infilato il mio foglietto, fra pagina 141 a sinistra e pagina 142 a destra. 
Ci sono ancora un po’ di tracce dell’inchiostro marrone seppiato, sull’una e sull’altra facciata.

Tre Uomini in Barca.
Pagina 141.

“E’ mezzogiorno e noi e tutte le altre persone pazienti aspettiamo da molte ore e si è sparsa la voce secondo cui il viscido Giovanni di nuovo si sarebb...”

Aspetta aspetta aspetta...
Rileggo.

“...si è sparsa la voce che il VISCIDO GIOVANNI...”

Rileggo quello che ho scritto io:

C'era una volta,
tanto tanto tempo fa
in un paese lontano
lontano, un viscido che
si chiamava Giovanni

Bene. 
Penso.
Quante volte, nella letteratura mondiale, dai primi graffiti rupestri a oggi, le parole “Viscido” e “Giovanni” si sono mai incontrate?
Io sarei portato a pensare a una coincidenza, seppure alquanto singolare, se avessi scritto “la mamma è buona”, “il cielo è azzurro”, “il mare è grande”, sì, lo capirei. Proprio. 
Ma “Viscido” e “Giovanni” no, non è possibile...
Chiamo Arianna e le racconto tutto con dovizia di particolari.
Pennino, Prova Pennino, Viscido, Giovanni.

“Zitto! Non mi dire più nulla che queste cose mi fanno paura!”
“Va be’, ma quale paura, non esageriamo... Però, cavolo, non è incredibile? Proprio nella stessa pagina dove avevo infilato i foglietti... E ‘Viscido’ e ‘Giovanni’ l’avevo scritto mischiando due cose che...”
“Zitto zitto! Ti ho detto che mi metto paura!”
“Va be’, buonanotte”
“Buonanotte”

Continuo a leggere.

Tre Uomini in Barca.
Pagina 142.
“Una mano più audace avrebbe potuto capovolgere le sorti della partita anche in quel momento. SE LI’ SI FOSSE TROVATO RICCARDO!”




E’ troppo anche per me. Chiudo il libro e mi addormento.
Passa qualche giorno e non ci penso più.
Alla domenica seguente, mi alzo un po’ più tardi, me la godo a letto e mi prendo i miei tempi.
Non c’è fretta, il primo impegno è il consueto pranzo domenicale a casa di mamma Cassini, dove da sempre tutta la famiglia converge settimanalmente.
In questa mattinata pigra e rilassata, decido che è il tempo e il momento giusto per iniziare il mio corso di Calligrafia per Principianti.
So che non è facile imparare da autodidatta le difficili calligrafie classiche ma penso che, se a 5 anni ho imparato a scrivere da zero, ora, alla mia età, posso incominciare lo stesso percorso con una maturità e un’intelligenza superiore e bruciare i tempi.
E, come da bambino, in primina, scrivevo sotto gli occhi vigili della maestra una paginetta di “a” finché non sapevo farla bene, per poi passare alla “b”, decido che avrei usato lo stesso identico metodo per imparare a scrivere con una nuova calligrafia.
Mi lancio alla grande: imparerò il gotico!
Leggo sul manuale di istruzioni come fare la “a” minuscola, apro il quadernetto con le righe da terza e incomincio la mia prima paginetta di “a” in gotico.
Le prime vengono fuori abbastanza schifose ma dopo qualche riga il miglioramento è percepibile a vista d’occhio. Lo sapevo! Ce l’avrei fatta in poco tempo.
Secondo passo: la lettera “b” minuscola. E’ un po’ più articolata ma posso farcela. La stanghetta verticale a doppia altezza mi fa soffrire ma reggo l’impatto con le difficoltà del momento. Per fare una lettera “b” come si deve, in gotico, ci metto più dell’unica paginetta di lettere “a” ma alla fine, riesco a produrre una lettera “b” soddisfacente.
Squilla il telefono.

“Riccardo, tu vieni oggi a pranzo?”
“Certo, mamma”
“Vieni un po’ più presto, che poi incominciano le partite e tutti si alzano da tavola”.
“Arrivo”.

Devo andare. 
Ma prima, dopo aver scritto in gotico una paginetta di “a” e due paginette di “b”, vorrei sondare la mia bravura scrivendo una parola intera. 
Tenendo però conto delle mie ridotte conoscenze dell’alfabeto gotico stesso, quale parola potrei mai scrivere usando solo la “a” e la “b”?
Potrei scrivere “Abba”, già, un bell’omaggio al supergruppo anni 70, ma... no... non posso: Abba si scrive con la “A” maiuscola e io non la so fare. 
Scriverò “Babbo”.
Macché: non so fare la “o”.
Ci sono: posso scrivere babà. 
Fammi vedere come si fa l’accento in gotico. Sì, è facile, posso farcela.

babà babà babà babà 
babà babà babà babà
babà babà babà babà




Sono veramente bravo, so scrivere in gotico!
Be’, quasi.

Chiudo il manualetto, il quaderno con le righe di terza, metto il cappuccio al pennino.
Ripongo tutto ordinatamente nella confezione Calligraphy for Beginners e vado da mia madre.
Ai pranzi di mamma Cassini si riuniscono i di lei quattro figli, i rispettivi partners/compagni/coniugi e poi nipoti, parenti, affini e amici. Il numero è sempre elevatissimo e se siamo meno di venti, mamma dice: “No, oggi siamo in pochi”.
La mangiata è memorabile come al solito e si svolge fuori alla terrazza, in una bella domenica autunnale ancora tiepida.
Dopo le pizzette fritte imbottite, la torta di scarola, i rigatoni con la genovese, le salsicce, le patate al forno, gli involtini messicani carne su carne, il vino frizzante, mamma si alza e fa per andare in cucina.

“Ragazzi, lo sapete, a me piace cucinare e ogni tanto sperimentare. Ho fatto di tutto in vita mia, voi ne siete testimoni, eppure  non mi ero mai cimentata a fare una cosa che mia madre, la nonna, diceva essere molto difficile perché occorre una doppia lievitazione. 
Oggi, non so come e non so perché, ho deciso di farlo per la prima volta”.

Va in cucina, prende il dolce e ritorna.

“E’ un babà. Non so come è venuto, speriamo che il sapore sia buono”.




La confezione di Calligraphy for Beginners non l’ho più toccata.
E’ lì, sotto il ripiano della mia scrivania che, non a caso, è un vecchio banco da scuola inglese.
E’ OVVIO che io sono in possesso di un pennino magico.
La prima volta, Viscido Giovanni, il pennino mi ha avvisato.
La seconda volta, babà, mi ha confermato.
Adesso ho il terzo desiderio.
Ma devo fare attenzione a cosa scrivere.
Perché la prima volta la cosa è accaduta a mo’ di coincidenza. Coincidenza impossibile e assoluta. Ma è giusto così: doveva essere un campanello d’allarme, quindi preciso ma non eclatante.
La seconda volta, il pennino mi ha fatto capire la sua infinita potenza, facendo accadere ciò che aveva scritto, tramite me, a breve distanza, con l’intervento inconsapevole di una terza persona, mia mamma.
Perfetto.
Ora che so tutto, mi resta il terzo desiderio.
Sto pensando a cosa scrivere.
Da più di venti anni.



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