io, Lawrence Ferlinghetti, la vela latina ed il bucato a mano.
Napoli, 2016
Nell’estate del 2000, mio fratello Marco, editore (Minimum Fax, Sur) andò all’aeroporto di Fiumicino a prendere #LawrenceFerlinghetti che sarebbe stato suo ospite per alcuni giorni a Roma.
Ferlinghetti è uno scrittore e un poeta.
Per capirci, se chiedi a Bob Dylan chi è il suo mito, lui risponde: “Lawrence Ferlinghetti”. (Wikipediare per credere).
Ha fondato la libreria City Lights di San Francisco.
Ha pubblicato l’Urlo di Allen Ginzberg e per questo motivo è stato in prigione.
In seguito, ha pubblicato tutti gli scrittori della Beat Generation: Kerouac, Ginzberg, Corso.
Marco, all’epoca meno che trentenne, andò a prendere questo suo amico e collega editore ultraottantenne (all’epoca: oggi è un quasi centenario che ancora guida la macchina per le salite e discese di Frisco) che gli si presentò all’uscita passeggeri con una valigetta 24 ore.
“Andiamo a prendere i bagagli e poi andiamo a casa”.
“Non ho altri bagagli, è tutto qui”. E batté una mano sulla valigetta.
Ferlinghetti arrivava a Roma per un giro di letture di poesie in varie città della durata di tre settimane, con una valigetta 24 ore. E basta.
Marco mi ha raccontato che ogni sera, Lawrence, ospite in casa sua, lavava nel lavandino del bagno boxer, calzini e camicia da americano a maniche corte, facendo turn over con altrettanti, non di più, capi di vestiario che aveva portato nella sua piccola valigetta.
Il tour di lettura delle poesie avrebbe portato Marco e Ferlinghetti anche ad Amalfi, dove io stazionavo nella tradizionale lunga estate di ozio.
Fu uno spettacolo molto bello, nel Duomo di Amalfi.
Per la prima volta ebbi la consapevolezza che le poesie, anche in un’altra lingua, (c’era la traduzione in diretta con sottotitoli su video) potevano essere uno spettacolo di musica parlata comprensibile e coinvolgente. Una performance assolutamente contemporanea e non per intellettuali di altri tempi.
Al mattino dopo, una giornata che non dimenticherò: Marco, Lawrence, Antonella ed io andammo in giro senza meta con il mio primo gozzetto in legno per le calette di Amalfi. E poi, sosta finale al ristorante sul mare Da Teresa.
Lì Lawrence mi regalò il suo libro, mi scrisse una dedica e poi incominciò uno strano disegno: era il mio gozzo con una vela latina, mi disse che una barca così vecchia non doveva muoversi con il rumore del motore ma “trasportata dal vento nel silenzio dei luoghi”.
Ascoltai il suo consiglio e durante l’inverno, con il disegno del mio amico Lawrence, andai dai vecchi pescatori a capire se qualcuno ricordasse quell’antico tipo di vela. Alla fine, riuscimmo a costruirla, albero in legno e stoffa triangolare e una lunga cima che arrivava fra le mie mani, già occupate dalla barra del timone.
L’estate seguente, per la prima volta, capii cosa intendesse Ferlinghetti per “muoversi nel silenzio”.
Oggi, il mio mestiere di scrittore e autore mi porta ad andare spesso in giro e fare soggiorni anche lunghi in città diverse dalla mia. Da Natale ad oggi mi è capitato di stare a Livorno per Panariello, a Sanremo per il Festival e ora a Napoli per made in Sud. Preferisco, in questi casi, prendere una casa e non l’albergo.
E insomma, come stasera, stanotte anzi, mi capita di ritrovarmi a fare il bucato a mano e lavare boxer e calzini.
No, non metterò mai una camicia a maniche corte.
Ma ogni volta che lavo, sciacquo, strizzo e stendo, ogni singola volta, penso ad un vecchio sorridente a cui piace farsi trasportare, in silenzio, dal vento.
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