io, il mio papà, la Spal e Sivori.



Napoli, 1966.

Il 25 settembre mio padre decise che, all'età di cinque anni e mezzo, ero ormai maturo per poter andare a vedere con lui una partita di pallone.
Salimmo insieme sulla Lancia Flavia 1500 targata NA309595 (lo scrivo perché ancora me lo ricordo e, dovessi dimenticarmelo, potrò trovarne traccia qui, in futuro) e scendemmo dal Vomero, dove avevamo casa, a Fuorigrotta dove c'era, e c'è, lo Stadio San Paolo.




La prima novità fu l'essere accolto sui sedili anteriori, così grandi e massicci da sembrarmi un unico grande divano.
Di solito, con la famiglia al completo, (all'epoca genitori e due soli figli) mia sorella ed io risiedevamo nei sedili posteriori.
Mio padre cominciò ad istruirmi su ciò che avremmo visto: la partita Napoli-Spal, seconda giornata del Campionato di Serie A 1966-67. La mia cultura calcistica, all'epoca, non era approfondita né enciclopedica e quindi fu arduo farmi capire perché la squadra di Ferrara non si chiamasse Ferrara ma Spal, e solo anni dopo avrei saputo che la sigla significava Società Polisportiva Ars et Labor.
Non mi ero chiesto, inoltre, come mai mio padre, di domenica, suo giorno di ferie, avesse indossato la divisa di Capitano dell'Esercito ma questo mi fu chiaro poco dopo, quando usò il suo impeccabile look militare come lasciapassare allo stadio e me stesso come scudo umano per saltare le file alle entrate: "Il bambino! C'è il bambino! Fateci entrare."
Arrivammo su una gradinata abbastanza larga, non c'erano le poltroncine, mio padre comprò due cuscini di carta, probabilmente già all'epoca riciclata, dal tipico colore marroncino, imbottiti di altrettanta carta: a loro modo, un lusso. Ci sedemmo, io con le gambe penzolanti che non toccavano terra, lui al mio fianco che gustava il Caffè Borghetti appena comprato. Di fronte a noi, un muro con tante mattonelle colorate, tipo mosaico fitto fitto, come quello della Fontana dell'Esedra nella vicina Mostra d'Oltremare. 




In cielo vidi per la prima volta un aereo portarsi dietro uno striscione pubblicitario: "Desireé, la chemise di gran classe". 
Durante l'attesa, ebbi le prime nozioni calcistiche. Mio padre si era sentito in dovere di istruirmi dopo il nostro unico precedente dialogo sul calcio, avvenuto due mesi prima, nel luglio 1966. Lo avevo trovato, nella nostra casa di villeggiatura a #MarinaDiMinturno, intento all'ascolto della radio: mi aveva detto che era una partita dell'Italia ai Mondiali di Inghilterra.
Io avevo sollevato interrogativi sul suo eccessivo interesse per una squadra fino ad allora a me sconosciuta, l'Italia, visto il nostro corrente status di tifosi del Napoli. Lui pazientemente mi aveva spiegato che i tifosi di tutte le squadre italiane facevano anche e ancor più il tifo per l'Italia: la squadra migliore del nostro Paese, in cui giocavano i calciatori italiani più bravi di tutte le squadre del campionato, ad esempio Rivera del Milan, Mazzola dell'Inter, Bulgarelli del Bologna. 
Io conclusi con una preoccupata constatazione: "Chissà com'è difficile fare l'arbitro di una partita così, con i giocatori delle varie squadre che giocano insieme con tutte quelle maglie diverse..."
Ricordo lo scuotere sconsolato del capo di mio padre che presto ebbe ben altri motivi per passare alla incazzatura irreversibile, nel momento in cui la radio gli annunciò che l'Italia era stata eliminata dalla Corea Del Nord, dal gol del dentista Pak Doo-Ik.
Due mesi dopo, sulla gradinata del San Paolo, il genitore mi dava le prime istruzioni sul mondo del calcio. 
Più o meno, queste:
- Noi siamo quelli con le maglie azzurre
- Loro sono quelli con la maglia a righine verticali bianche e blu




- I più forti del Napoli sono il 9 e il 10, Altafini e Sivori: segnano gol a raffica. Ma è un po' più forte Sivori.








- I più bravi della Spal sono  Edoardo Reja e Osvaldo Bagnoli. Poi c'è  Fabio Capello un ventenne, forte, ma oggi sta in panchina, meglio così.






Tutto chiaro?
Tutto chiaro.
Primo tempo: siamo più forti della Spal ma non riusciamo a segnare.  

All'intervallo, la rivelazione: il muro col mosaico di fronte non era un muro col mosaico: le tessere colorate si muovevano: erano persone, quelli della tribuna di fronte che scendevano al bar dello stadio a prendere il Caffè Borghetti anche loro.

Nel secondo tempo, a circa dieci minuti dalla fine, segna un neo acquisto del Napoli, comprato quell'anno dal Brescia: #OttavioBianchi.

Quel ragazzo di 23 anni, mi fece zompettare contento sul mio cuscino di carta, vicino a mio padre, esagitato più di me nell'occasione. 
Ventuno anni dopo, il 10 maggio 1987, il ragazzo di Brescia, allenatore del Napoli di #Maradona, mi avrebbe fatto piangere in quello stesso stadio su quella stessa gradinata.
Ma il ricordo più nitido era il ruggito del pubblico che accompagnava i dribbling di Sivori.
"El Cabezon" giocava con i calzettoni abbassati, a stinchi nudi, a sfidare i calci dei difensori che non lo fermavano in nessun modo. 
Il Napoli vinse 1 a 0.
Vidi poche altre partite con mio padre. 
Fra queste, l'ultima partita di Sivori. 
1 dicembre 1968, Napoli-Juventus. Sivori contro la sua ex squadra.
Segna prima la Juve con Anastasi, poi due gol di Montefusco del Napoli: 2 a 1. A un minuto dall'intervallo, ennesimo scontro fra Sivori e il suo "guardiano",  Favalli. Fallo di Sivori, simulazione di Favalli, tuffo e sceneggiata, l'arbitro Pieroni decide per l'espulsione di Sivori. Litigio furioso fra l'arbitro e Sivori che lo manda affanculo in almeno tre lingue diverse e poi, per gradire, innesca una gigantesca e furibonda rissa che ha conseguenze clamorose: nove giornate di squalifica per  Panzanato (Napoli), quattro per  Salvadore (Juventus) due mesi per  Chiappella, allenatore del Napoli. Sivori è squalificato per sei giornate. Il Napoli, in nove contro dieci, vince la partita ma nell'aria c'è qualcosa di sospeso. Sivori, quello stesso pomeriggio, decide di lasciare il calcio, anche se, per il dolore di tutti i tifosi del Napoli, dà la notizia qualche giorno dopo, in un leggendario collegamento TV con  Canzonissima '66.

Mi capitó, incredibilmente, di incontrarlo venti anni dopo, durante la mia vita di venditore di auto, poiché l'argentino aveva aperto una concessionaria Fiat a Viterbo. Era anche l'allenatore della Viterbese e quell'anno vinse il Campionato Promozione.
Parlammo di Napoli e di ricordi.
Mi piacque raccontare di mio padre a Sivori. 
Un incrocio quasi impossibile.
Un bellissimo pomeriggio.

Sivori muore il 18 febbraio 2005.
In quei giorni ero a Napoli per lavoro.
Decisi che quella poteva essere una buona occasione per ritornare allo stadio dopo tanti anni e fare l'esperienza, dopo aver visto il Napoli nelle varie ere geologiche, da Panzanato a Zoff, da Krol a Maradona, di vederlo anche giocare in Serie C. 
Sì, perché nel 2005 il Napoli giocava in Serie C.
Mi informo.
La partita seguente è Napoli-Spal.
Naturalmente, oserei dire, se non fosse che, dal 68 ad oggi, Napoli e Spal si saranno incontrate tre o quattro volte in mezzo secolo.

L'allenatore del Napoli è Edi Reja. Sì, il mediano della Spal di quando vidi la prima partita col mio papà, più di 40 anni prima.
Vado alla partita da solo. 
È una partita di Serie C ma al San Paolo ci sono più di quarantamila spettatori. 
II Napoli gioca con il lutto al braccio in ricordo di Sivori. 
Penso che nessuno dei ragazzi in campo si possa ricordare di lui.
Primo tempo: siamo più forti della Spal ma non riusciamo a segnare.
Secondo tempo: sbagliamo un rigore.
Poi l'ex mediano della Spal, Edi Reja, ora allenatore del Napoli, decide di fare entrare un argentino, connazionale di Sivori:    Roberto Sosa, detto Il Pampa.
Un minuto dopo il suo ingresso in campo, a circa dieci minuti dalla fine, il Pampa Sosa segna e corre sotto la curva.
Ma ancora non è finita. 
A quattro minuti dalla fine, l'arbitro dà un rigore anche alla Spal.
Il portiere del Napoli vola e para.
Il muro col mosaico impazzisce.
E anche io zompetto felice su quella gradinata. 
Vicino a mio padre. 
Vicino a Sivori.
E, massimo del festeggiamento sportivo, ora che sono diventato grande, con un cenno del braccio, chiamo il ragazzo del Caffè Borghetti.

Alla salute, papà.
Alla salute, Omar.
Alla salute, Spal.


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