Io, il tour di Panariello, il Treno, i Monaci FFSS e la differenza di Classe

Roma, 20 ottobre 2017


Alle ore 13.37, spaccando il secondo, o ad essere più pignoli, spaccando i nove inspiegabili minuti di ritardo alla partenza, il Treno Regionale Veloce delle 13.28 inizia il suo tragitto da Roma ad Ancona che coprirà in non più di cinque ore. 
Dal marciapiede, ho provato a salire sul primo dei numerosi vagoni pronti in fila al Binario 1 di Roma Termini, sul quale c’era scritto: Prima Classe. Le porte erano bloccate e un foglio incollato al vetro avvisava: “Vagone Fuori Uso”. 
Sono entrato allora sul vagone seguente, di seconda classe, abbastanza affollato, siamo al venerdì dopo pranzo e i pendolari, sia quotidiani che settimanali, ritornano alle magioni, agli ovili, alle residenze di appartenenza nelle verdi province laziali, umbre, marchigiane. Attraverso tutto il corridoio, giungendo così al terzo vagone, che ha  qualche posto libero in più e mi accomodo in un posto illuminato da un obliquo e convincente raggio di sole che mi suggerisce, senza dubbio, che il mio posto debba essere proprio quello, indicato dal sentiero luminoso appositamente tracciato, partito dal centro del sistema solare alcuni anni luce orsono e giunto, al termine del suo percorso fra le galassie, sulla finta pelle blu del consunto sedile per mostrarmi la giusta via. 
I Treni Regionali Veloci non sono un granché. E ve lo dice uno che ha cominciato la sua lunga carriera di passeggero di treno sui vagoni di legno 
A differenza di oggi dove per ogni vagone ci sono soltanto due porte ai due estremi, i vagoni di legno avevano molte porte sul lato, una per ogni scompartimento e sulle porte c’era scritto 1, 2 o 3 a seconda della classe.  
Una volta, giovane giornalista durante l’ultimo anno di liceo, andai a Miano, periferia di Napoli, per scrivere un articolo su questi vagoni di legno. La domanda era: cosa ci facevano alcuni vagoni di legno ben lontani dalle stazioni cittadine di Napoli, in una zona difficile della città, vicino Scampia, Secondigliano?
Ve lo dice il diciottenne Riccardiello, cronista d’assalto degli anni 70: i monaci avevano ottenuto un secco rifiuto dal comune per poter provvedere alla costruzione di un piccolo monastero, su un terreno non edificabile messo a disposizione da un contadino.
Si erano quindi fatti donare dalle Ferrovie dello Stato, in cambio dell’Indulgenza Plenaria Perpetua su tutti i ritardi dei treni, passati, presenti e futuri (ecco spiegati i nove minuti di ritardo di oggi) alcuni vecchi vagoni di legno in disuso e li avevano piazzati fra gli alberi e gli orti: essi, con tutte quelle porticine svolgevano egregiamente la funzione di piccole celle per i monaci, qualcuno, svuotato degli arredi, fungeva da refettorio o piccola cappella.






I monaci furbacchioni avevano anche avuto cura di sistemare i vagoni su brevi spezzoni di binario, in modo che anche dal punto di vista burocratico, si continuasse a trattare di beni ‘mobili’ e non ‘immobili’, questi ultimi vietati dalle leggi del momento. 

Ma torniamo a noi. 
Fatte le dovute proporzioni, a distanza di più di mezzo secolo, i vagoni dei treni regionali di oggi non reggono il paragone con quelli dei tempi antichi. 
Innanzitutto, sono quasi antichi anche loro: una etichetta ci informa con una punta di orgoglio che i vagoni sono stati ristilizzati nel 91.
Ristilizzati: quindi vuol dire che c’erano da prima, parecchio prima, se nel 91 erano così usurati da aver necessità di un rinnovamento totale. Le carrozze sono studiate con materiali che dovrebbero ridurre la manutenzione al minimo: linoleum per terra, finta pelle sui sedili, molto metallo, vetro, formica. 
L’equivoco è questo sulla manutenzione. Proprio pensando che, con questi materiali, le pulizie, i piccoli interventi possano essere più saltuari, i vagoni sono pressochè in stato di abbandono. Gomme da masticare in ogni dove, aureole di grasso nei punti dei sedili dove si appoggia la testa, bagni in perenne stato di Fuori Servizio. 
I vecchi vagoni di legno erano più scomodi, con le panche al posto dei sedili singoli, con le retine per appoggiare i bagagli, con i finestrini a ghigliottina e la immancabile etichetta in quattro lingue “non gettate alcun oggetto dal finestrino”. Generazioni di passeggeri italiani non sanno neanche una parola di Inglese, francese o alcunaltra lingua straniera ma possono fluentemente cazziarti in tedesco “Keine Gegestaende Aus Dem Fenster Werfen! come e meglio di una indispettita Merkel. 
Quelle vecchie carrozze con il legno da lucidare, i sedili in stoffa da lavare, le maniglie in metallo da lustrare, le fotografie con le vedute dei luoghi italiani da spolverare, pretendevano una cura quotidiana. E la manutenzione veniva effettuata con attenzione di altri tempi, tanto da farti entrare in piccoli spazi, forse più scomodi di oggi, ma dall’aria genuina e onesta da vecchio tinello di casa contadina. 
Ma eccoci al momento clou del mio attuale viaggio: il controllore mi chiede il biglietto. Glielo mostro dal mio cellulare. 
  • - Me lo può allargare un po’? Non vedo il codice. 
  • - Non più di così, questo è il massimo. 
  • - Ma io così il codice non lo leggo.
  • - Come vogliamo fare? Se vuole glielo leggo io. 
  • Non si può, lo devo leggere io, lei potrebbe dirmi qualsiasi cosa. 



Certo, potrei dirgli che il codice è AZ 847 e poi protestare perché non siamo sull’aereo Roma-Chicago. 
  • - Guardi, se lei prende il telefono e allarga la foto così, con due dita sullo schermo, la foto si ingrandisce e il codice si vede bene. Poi l’immagine non si fissa così, larga, ritorna indietro alla grandezza iniziale, ma almeno lo legge. 
Il controllore prende il mio iphone, impicciato fra la macchinetta del Pos, la pinzetta per obliterare, la borsa con soldi e biglietti e, aiutato dallo scossone di una frenata dopo uno scambio  di binario fra Orte e Narni, fa volare in aria il mio prezioso cellulare 
Ne seguo con adeguata apprensione il volo.  
La parabola termina sul sedile dall’altro lato del corridoio, sulla parete occipitale di un cagnolino maltese toy bianco e pelosissimo che per nulla apprezza l’evento fortuito e incomincia a latrare furiosamente. Il telefono resta lì, nel grembo della signora probabilmente straniera, probabilmente dell'Est, padrona della vivace bestiola, probabilmente afflitta da sordità definitiva, perché continua beata nel suo riposino del dopo pranzo. 
Il controllore ha visto il cellulare sparire fra il cane e le gambe dei jeans della signora ma fa il vago mentre gli chiedo: 
  • - Dov’è andato a finire il telefonino? 
  • - Lì, dal cane. Comunque va bene, io avevo letto, è tutto a posto 
  • - No guardi, mi dispiace, lei l’ha fatto volare lì, ora lo prende e me lo ridà. 
Controllore contro cane. 
Seppure di piccole dimensioni, l’animale sa farsi rispettare. Ogni volta che il controllore prova ad avvicinare il braccio verso la zona di atterraggio dell’iPhone, il cane ringhia e abbaia. 
Preso dall’ingegno della disperazione, il controllore usa la sua borsa nera di cuoio da ferroviere come barriera fra il cane e il suo braccio proteso verso il basso alla ricerca del telefonino. E’ in quel preciso istante che la signora apre gli occhi vedendo uno sconosciuto in divisa delle Ferrovie con una mano fra le sue gambe ed il culo del cagnolino. 

Il controllore non si perde d’animo: ha ormai afferrato il cellulare, lo impugna e dice alla signora: “biglietti prego! Signo’, biglietti! e la scuote un po’, fingendo anche con l’aria un po’ seccata, che lo stesse facendo da tempo. “Oh, s’è svegliata! Biglietti prego...” 
Ma il Lieto fine del recupero dello smartphone non fa sì che il nostro duello sia terminato. 
Controllato il biglietto della signora, rieccolo a me. 
  • - Lei ha un biglietto di seconda classe 
  • - Sì 
  • - Ma questo è un vagone di prima 
  • - No, si sbaglia, è di seconda, guardi, c’è scritto 2 da tutte le parti 
  • - Forse lei non ha guardato bene quel foglietto di carta incollato sul vetro. Vede? Quello lì in fondo: c’è scritto “Vagone di Prima Classe 
  • - Ha ragione, non ho guardato bene, anche perché intorno a me ci sono svariati metri cubi di vagone di Seconda Classe con moltissime scritte “Seconda Classe” dappertutto, belle grosse, e non avevo notato il foglietto 
  • - Sono 8 euro di differenza 
Alle parole “8 euro di differenza, si crea nel vagone un silenzio da parte degli altri astanti indice di variegati stati d’animo, dalla tensione alla perplessità,  dall’interrogativo al panico: pendolari, studenti, coppiette in gita, incominciano a seguire la tenzone dialettica fra me e il controllore sapendo che il risultato finale li riguarderà personalmente. Io, rasserenato dal salvataggio del cellulare, sapendo di avere molto tempo a disposizione, che mi aspettano per lo meno altre tre ore di viaggio e confortato dalla discreta audience che recepisco dalla mia parte, ingaggio un duello filosofico con il controllore: 
  • - Lei sa perché la Prima Classe costa più della Seconda? 
  • - E’ ovvio che lo so. Perché i sedili sono più comodi, c'è più spazio, il modulo è 2-1 
  • - Aspetti un attimo, questa non la so: cosa sarebbe il modulo 2-1? 
  • - Significa che da un lato del vagone ci sono due file di sedili mentre dall'altro lato, una fila sola. Il corridoio è quindi più largo e c'è più spazio e maggiore comodità. Nei vagoni di seconda classe, il modulo è 2-2: due file per lato, le sedute sono meno ampie e il corridoio è più stretto  
  • - Sedili più scomodi e spazio minore. Proprio quello che c'è qui, giusto?  
Vorrei dire: "Giusto, signori della Corte?" rivolgendomi ai pendolari che stanno assistendo, ormai tutti miei tifosi, ma non voglio esagerare e continuo: 
  • - … quindi mi spiega perché dovrei pagare di più per usufruire di comodità che, su questo vagone, non ci sono, essendo questo un vagone di Seconda Classe promosso a Prima da un foglietto incollato a un vetro? 
Qui il controllore, in difficoltà dialettiche, fa un errore imperdonabile: 
  • - Non è solo per i sedili e per lo spazio ma anche per la gente 
  • - Cioè? 
  • - Cioè in prima classe non si sta in mezzo alla folla, al casino... 
  • - Guardi, controllore esimio, (e sull' "esimio" mi vacilla, temendo sia un'offesa) se la "differenza di classe" fosse composta da un insieme di cose non distinguibili l'una dall'altra, come la comodità, lo spazio e (e sottolineo e) il fatto che, a causa della selezione naturale/economica, si stia in un luogo più riservato, ci potrei anche stare. Ma qui, con il vagone che è uguale agli altri, si paga un sovrapprezzo solo per non stare insieme al volgo e agli extracomunitari? Pagare di più per evitare il contatto con esseri umani la cui uguaglianza è garantita dalla Costituzione e dalla Carta dei Diritti dell'Uomo? 
Il controllore è in difficoltà. Provo l'affondo definitivo con un  lampo di genio populista, la rivoluzione copernicana del controllato sul controllore: 
  • - Ora che ci penso, dovrebbe essere il contrario: sono i passeggeri che hanno pagato il biglietto di Prima Classe che dovrebbero essere rimborsati, visto che stanno viaggiando in un vagone di Seconda  
  • - Ma le ho detto che è di Prima, ci abbiamo scritto il foglietto! 
  • - Ma certo! Come se bastasse un foglietto!   Ce l'ha un altro foglietto? Scriviamo su questo sedile "Il Trono di Spade" così può chiedere il supplemento per I Sette Regni! 
Timidi applausi di consenso dal fondo del vagone. Un elegante signore con impeccabile valigetta di cuoio d'ordinanza, si avvicina al controllore: 
  • - Io ho pagato per la Prima Classe ma effettivamente, questo vagone è di seconda, mi metta una annotazione sul biglietto così chiederò un rimborso... 
  • - Ecco, ci mancava anche lei: io in tanti anni di attività di controlleria non sono mai capitato in una situazione così e non so come farla, questa annotazione. Adesso vado dal Capotreno e gli riferisco tutto. 
In realtà, il controllore è uscito dalla porta del vagone e non si è più visto. La signora si è riaccasciata con il suo cagnolino in braccio, i giovani studenti si sono rinchiusi nel mondo solitario delle loro cuffiette e io ho atteso, purtroppo invano, il Capotreno per porgli l'unica vera domanda di quell'avventuroso viaggio: 
  • - Ma che cavolo di parola è "controlleria"? Ma che vi ha fatto di male il vecchio, caro, "controllo" biglietti? 
 


  
  
  

Commenti

Post popolari in questo blog

io, il Benelli 49 America del '66, e gli schiaffoni di Padre Amodio

io, Lawrence Ferlinghetti, la vela latina ed il bucato a mano.

io, le Olimpiadi di Mexico 68 e il pugno chiuso.